L’altra sera mi ha chiamato mio figlio e mi ha annunciato che sul lavoro gli è stata confermata la promozione e che quindi avrà, oltre a uno scatto di carriera, anche un aumento in busta paga. Dopo essermi congratulato con lui, gli ho detto: “Bene, adesso la metà di quello che è l’aumento lo accantoniamo, visto che finora hai comunque pagato il mutuo, le bollette e tutte le altre cose. Dell’aumento ne tieni la metà e dell’altra puoi farne anche a meno”. Dopo aver chiuso la telefonata, ho pensato: “Ma se mio figlio non avesse avuto un padre come me, che fa un mestiere come il mio, avrebbe pensato lo stesso di accantonare?” Probabilmente no.

Allora a chi serve davvero un Consulente Finanziario? Perché non ce l’hanno tutti? 

Per rispondere alla prima domanda dobbiamo partire dalla seconda. La maggior parte delle persone pensa di non potersi permettere un consulente finanziario: “Perché non ho molti soldi da accantonare” è la risposta più gettonata. Sono convinto che questa credenza derivi dal fatto che non è molto chiara la figura del consulente finanziario, che è visto come quello che deve fare fruttare i soldi di chi il denaro ce l’ha già. Il consulente finanziario in questo momento si trova invece, a mio avviso, a coprire una carenza strutturale che l’evoluzione delle banche ha creato: i nostri nonni e i nostri padri andavano in banca e trovavano un referente, che era lo stesso per molti anni, con il quale si creava un rapporto di fiducia, che conosceva tutta la vita del suo cliente. Spesso era il direttore di filiale stesso, il referente.

Negli ultimi anni abbiamo assistito a fusioni, incorporazioni e anche a sparizioni di interi istituti, cosa che a parer mio ha sbilanciato i clienti. Prima le persone avevano il rapporto con l’edificio bancario e con la persona che c’era all’interno: un tempo prima si conosceva la banca e poi il referente. Quanti nella mia zona parlano ancora del Credito Varesino! Poi le persone si sono trovate a dover gestire il rapporto con una persona, il consulente, e poi con l’edificio: anzi, molti la banca fisica oggi non la vedono neanche.

Molto di quello che stiamo vivendo, dagli acquisti fino alle riunioni di lavoro, anche a causa della pandemia che ha accelerato le cose, ormai è virtuale; ci stiamo perciò abituando a questa realtà, tanto da considerarla ormai normalità. Fare compere o avere un incontro di affari in remoto va bene, ma penso saremo tutti d’accordo nel dire che, per le cose importanti della vita, il caro vecchio rapporto umano è ancora fondamentale. Gli anglosassoni, che dal punto di vista finanziario sono il popolo più evoluto del mondo, hanno fatto del rapporto umano negli investimenti un fattore decisivo: il consulente infatti è una figura centrale della loro vita.

Allora perché in Italia siamo così restii? Ci sono un po’ di dubbi che i clienti hanno in proposito, e i più gettonati sono due:

  1. Se fallisce la banca oppure se tu consulente te ne vai, io poi a chi mi rivolgo?
  2. Tu consulente non mi costerai troppo?

Cominciamo con il dire che, spesso e volentieri, le banche che si avvalgono di consulenti sono più solide, non fosse altro per una politica dei costi più attenta, meno sedi fisiche che costano e miglior utilizzo della tecnologia. Per quanto riguarda il possibile fallimento della banca o il fatto che il consulente se ne vada, la dinamica è la stessa che per le altre banche: cioè qualcun altro subentrerà nella gestione del denaro. Questa domanda però ha sottintesa un’altra paura, comune anche nelle banche, per così dire, “tradizionali”: se l’istituto fallisce, che ne sarà dei miei soldi? Va detto che, con la divisione dei patrimoni dettata dalla normativa vigente, i miei investimenti sono distaccati dal patrimonio della banca: se non sono azionista, cioè non ho acquistato azioni o obbligazioni della banca stessa, non rischio nulla. Per ovviare a questo rischio io uso due deterrenti: risparmio gestito e diversificazione.

La seconda domanda invece presuppone il fatto che il consulente possa costare al risparmiatore più di quanto gli costi la banca stessa, la qual cosa non è sempre vera. Il 77 per cento degli Statunitensi afferma che il consulente vale il suo costo; un’indagine condotta nel Regno Unito ha dimostrato che i clienti dei consulenti guadagnano in media 45.000,00 € in più dei clienti che non li utilizzano. Quindi, dati alla mano, possiamo dire che la paura che il consulente costi è infondata. A questo aggiungiamo che i clienti dei consulenti sono mediamente più preparati, quindi, tanto per fare un esempio calzante, resistono molto meglio a momenti come quello che stiamo vivendo.

In un mondo che perde i suoi riferimenti – una volta nel paese erano sindaco, curato e medico – mi piacerebbe diventare l’Amichevole Consulente di Quartiere: non indosserò mai la tutina rossa di Spiderman né salterò giù dai tetti per correre in aiuto di qualche gentil donzella, ma metterò tutta la mia esperienza per salvare i risparmiatori dal pericolo che una cattiva lettura dei mercati e le loro paure possano far fare loro degli errori.

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