L’epidemia di questi mesi ha influito sulla crisi economica nel nostro paese e anche il sistema previdenziale già indebolito da incongruenze e squilibri decennali è arrivato al punto di non ritorno.

In questi miei pensieri del sabato, molte volte ho parlato di pensioni e di previdenza, ma qualche settimana fa una notizia secondo me sconvolgente, ha attraversato il cielo finanziario italiano come un meteorite pronto ad impattare il suolo italico del tutto inattesa e soprattutto del tutto inascoltata. Di conseguenza non potevo esimermi dal commentarla. 

Purtroppo il malefico virus di questi mesi non solo ha portato via una stragrande quantità di “nonni”, non solo ha indebolito un’economia già debole e che già non cresceva da diversi anni, ma ha accelerato anche un processo molto temuto ma che si sarebbe dovuto consolidare solo tra diversi anni, intorno al 2030 circa, cioè che il rapporto tra pensionati e lavoratori attivi arrivasse in una posizione di equilibrio. Purtroppo da un rapporto della CGIA di Mestre risulta che nello scorso mese di maggio questo rapporto si è addirittura invertito e il numero di pensioni stimate ha superato il numero dei lavoratori attivi. Il Covid ha fatto calare il numero dei lavoratori in modo sensibile, invece il numero di coloro che hanno lasciato il lavoro perché raggiunti limiti di età o di anzianità lavorativa, accentuati da quota 100, dal gennaio dello scorso anno è aumentato in maniera importante, spostando il piatto della bilancia molto velocemente anziché in modo più graduale come era previsto. Dalla foto possiamo vedere i dati regionali decisamente poco confortanti.

Tutto questo non fa bene ad un’economia in difficoltà e ad un sistema previdenziale molto delicato.  Ricordo infatti che il nostro sistema pensionistico non è un sistema a capitalizzazione cioè non è un sistema dove i pensionati vengono sostenuti con i contributi da loro versati durante gli anni di lavoro, ma un sistema a ripartizione, cioè dove le pensioni degli attuali pensionati vengono pagate dai contributi versati dai lavoratori attuali. Questo sistema si basa prima di tutto sul fatto che il numero dei lavoratori sia sufficientemente alto da sostenere chi è in pensione. Se questo numero per qualsiasi motivo diminuisce, il sistema va in sofferenza.

Aggiungiamo il rapporto ISTAT di qualche giorno fa dal quale risulta il minor numero di nascite dall’unità d’Italia, mi pare fosse il 1861.

Il quadro si fa preoccupante non solo per i nostri figli, ma anche per coloro che tra qualche anno dovrebbero raggiungere i limiti per il pensionamento ed invece rischiamo nuove misure restrittive. Non mi stupirei se qualcuno ricominciasse a parlare di riforma del sistema. Staremo a vedere.

Per i nostri giovani le alternative ci sono, alternative che in altri paesi sono obbligatorie da anni ma che da noi faticano a prendere piede per svariati motivi che è inutile stare ancora ad elencare.  Non si può pretendere che siano solo loro a preoccuparsi del loro futuro previdenziale e ad accollarsi l’onere anche solo mentale di pensare a come provvedere alle loro esigenze previdenziali future. In questo momento hanno bisogni e consumi dettati da ben altre motivazioni ed esigenze.

Siamo noi che dobbiamo cambiare la visione delle cose, che con la nostra esperienza in campo lavorativo e sociale dobbiamo incominciare a far nascere in loro l’idea che il futuro previdenziale parte dai loro atteggiamenti attuali. Che la loro sicurezza finanziaria deve incominciare da subito. Non c’è più tempo da perdere. Ogni giorno perso è un mattone in meno nella costruzione delle fondamenta della nostra solidità di domani.

Solo una sana e consapevole pianificazione  salva l’uomo …………

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