Orizzonti temporali tra realtà e percezione

Quando esco a passeggio col mio cane e gli metto la museruola, come dovrebbe essere fatto con tutti i cani di grossa taglia, le persone attraversano la strada, evitandoci. Non posso certamente biasimarle: vedere un cane con la museruola lo fa sembrare aggressivo, anche se nella realtà il mio cane non ha mai morso o attaccato in alcun modo nessun essere umano. Quello che percepiamo spesso è una realtà distorta o è semplicemente quella che ci costruiamo perché ci sta bene così: ci limitiamo ad attraversare la strada, senza pensare alle conseguenze.

Succede lo stesso anche con gli investimenti. Un esempio per tutti: abbiamo la percezione che tutti gli investimenti che hanno un rimborso a scadenza garantito siano sicuri e che invece quelli a capitale variabile siano rischiosi. Concettualmente non fa una piega, se non fosse che gli investitori, in nome di una sicurezza che è spesso solo presunta, si comportano in maniera contraria rispetto a quanto affermano. 

Nel 2019 un’indagine di Invesco sugli orizzonti temporali degli investitori europei fece emergere che mediamente gli investitori del Vecchio Continente hanno un orizzonte di 6,9 anni, con il massimo di 10,2 anni degli Olandesi e un minimo di 4,9 anni degli – udite, udite! – Italiani. Gli stessi Italiani, che hanno 4,9 anni di orizzonte temporale, investono poi in BTP con durate che arrivano addirittura ai cinquant’anni. Questa sembra una contraddizione, e concettualmente lo è: ha le sue radici nella credenza di cui parlavo prima, e cioè che quando il capitale è garantito a scadenza allora è sicuro; il capitale variabile, invece, deve essere per forza di cose rischioso.

A investire in un titolo con cedola fissa, e ultimamente spesso anche bassa, di così lunga durata dovrebbe essere un investitore evoluto, che è disposto ad accettare oscillazioni anche importanti del capitale, dovute ai movimenti dei tassi. Sono purtroppo gli investitori che hanno una repulsione al rischio a investire spesso e volentieri in questo modo: non si rendono conto, perché sino a oggi hanno guadagnato sulla variazione dei prezzi, di quanto un innalzamento dei tassi potrebbe pesare sul loro capitale.

Quando faccio notare loro questa cosa, solitamente mi rispondono che comunque hanno il capitale garantito. È vero: ma tra quanti anni? 

La mancanza di una reale educazione finanziaria (e sappiamo che anche in questo campo noi Italiani siamo un triste fanalino di coda) ci porta a prendere rischi che, grazie a una corretta diversificazione, sarebbero altrimenti facilmente evitabili; e a ottenere rendimenti che, in futuro, saranno sicuramente inferiori rispetto a quelli che gli investimenti in capitale variabile avrebbero garantito.

A conferma di questo fatto, basterebbe analizzare l’MSCI, ovvero il più grande indice azionario mondiale: noteremmo che, a vent’anni, il rendimento minimo è stato del 3,7 per cento annuo, che sale al 5,9 per cento a trent’anni. Tutti rendimenti al di sopra di quelli dei Bond, che negli ultimi vent’anni non superano il 2,7 per cento.

Quindi è sempre molto importante avere ben presente che solo una corretta pianificazione temporale ci può far creare un giusto mix di azioni e obbligazioni che ci permetteranno di ottenere il massimo risultato in tutti gli orizzonti. 

Se vuoi iniziare a far guadagnare il tuo tempo…

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Il nostro cane: da amico dell’uomo ad asset strategico

Da qualche anno stiamo assistendo a una nuova connotazione per quanto riguarda i nostri amici a quattro zampe: sono passati dall’essere migliori amici dell’uomo, che però vivevano nelle lorocucce fuori dal nucleo fuori casa, a essere membri effettivi della famiglia, con le proprie esigenze e le proprie priorità.

Questa attenzione sempre maggiore verso gli animali ha creato quello che a tutti gli effetti possiamo definire un nuovo mercato. La cosiddetta PET Economy sta entrando prepotentementecome asset strategico negli investimenti: si tratta di un settore in continua espansione, con sottosezioni che vanno dal cibo alla salute.

Pensando alla PET Economy si può credere che tutto si riduca al cibo per animali, alla cuccia o al guinzaglio, ma dietro c’è realmente molto di più: solo la parte di oggettistica e gadget per gli animali – con prodotti che vanno dal pollo di plastica ai gadget elettronici e sonori – ha visto una crescita che definire esponenziale è riduttivo. Due sezioni in particolare mi hanno molto incuriosito:la prima riguarda la nascita e lo sviluppo di vere e proprie spa per il benessere degli animali(con tutto l’indotto a questo correlato, in termini di oggettistica, creme e chi più ne ha più ne metta):se i centri benessere per gli esseri umani ormai sono un asset d’investimento consolidato, quello degli animali è davvero in forte crescita.

Un altro settore in fermento è quello delle assicurazionidi cui tra l’altro tratterò nel mio prossimo Webinar gratuito: infatti è sempre più variegata la richiesta di protezione per gli animali.Sapete cosa costa un’operazione dal veterinario? Molto. Ecco perché sul mercato sono apparse polizze sanitarie che sono destinate agli animali, per le loro cure e per tutto ciò che riguarda la loro salute. E non solo: bene assicurare il benessere dei nostri amici a quattro zampe, altrettanto importante è la tutela per i danni che possono procurare, perché se faccio parte della famiglia lo faccio a trecentosessanta gradi. 

In questo caso è il mercato che si adegua alle esigenze delle persone, creando quello che è un vero e proprio asset, che si è preso una sua posizione importante all’interno del panorama degli investimenti. Ma i numeri cosa dicono? La PET Economy, che già nel 2016 valeva ben 132 miliardi di dollari, è destinata a valere 203 mld$. Amazon ha lanciato una linea di cibo per animali, la Cina ha una crescita del 27 per cento nel settore degli animali domestici: tutti dati che fanno pensare alla possibilità di un ritorno importante sugli investimenti.

Questo cambiamento di paradigma ci porta a dire che, in un prossimo futuro, PET, idrogeno, elettrico e green sostituiranno quello che sino ad oggi ci ha guidato, dal petrolio in giù. Stare fuori da questi nuovi trend è un errore strategico, come lo è investire il 100 per cento del proprio denaro in questo settore. La PET Economy deve entrare nella nostra pianificazione come strumento da associare a ciò che abbiamo già per raggiungere i nostri obiettivi.

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Il primo passo per fare soldi? Assicurare il proprio capitale umano

Nei giorni scorsi, dopo aver ricevuto l’invito a iscriversi al mio prossimo Webinar, mi chiama un cliente e mi chiede: “Ma tu che c’azzecchi con le assicurazioni? Io pensavo ti occupassi solo di soldi. Adesso ti sei messo anche a fare l’assicuratore?” La domanda mi ha fatto riflettere: un dubbio di questo tipo non è per nulla banale, specie per chi non tratta giornalmente certi temi. Trovo perciò importante provare a spiegare perché ho deciso di parlare di tenere un webinar e scrivere una Guida interamente dedicati al tema delle Assicurazioni e perché queste siano davvero importantissime quando si tratta di gestire e preservare il proprio denaro.

Qualche anno fa un altro mio cliente si è trovato coinvolto suo malgrado in un sinistro di una certa entità, che ne ha compromesso gravemente l’attività lavorativa. Nella disgrazia, ha avuto la fortuna di avere una copertura assicurativa a tutela degli infortuni, con un capitale di invalidità permanente importante. Il capitale erogato dalla compagnia per la garanzia di invalidità gli ha permesso di sostenere le cure di riabilitazione e di non toccare il capitale che faticosamente aveva già messo da parte.

“Assicurazióne s. f. [der. di assicurare]. – Il fatto di assicurare, di assicurarsi, cioè di rendere o rendersi certo, o sicuro, o protetto”. Queste sono le prime parole che trovate sulla Treccani per definire il sostantivo assicurazione. In questa definizione sono contenuti due termini sui quali mi soffermerei: sicuro e protetto.

Spesso chiediamo a gran voce la protezione del capitale finanziario, e poi non proteggiamo il capitale che lo genera: l’Uomo.

Quando pensiamo all’assicurazione, ci vengono in mente i suoi utilizzi più noti: “Mi ripago il cancello automatico se questo si rompe” oppure “Posso cambiare il televisore se questo si fulmina” o ancora “Se cado in negozio e mi faccio male, almeno prendo la diaria”. Tutti concetti legittimi, ma legati alla convinzione che il fine ultimo di un’assicurazione sia in sostanza solo quello di permettere di recuperare i soldi del premio.

Aggiungiamoci poi che vediamo l’assicurazione come un costo aggiuntivo quasi inutile e spesso evitiamo di assicurarci perché “Sono soldi buttati via. E se poi non mi succede nulla?” Mi capita davvero molto spesso di sentire queste parole, ma se chiedete al mio cliente di cui vi parlavo poc’anzi cosa pensa del premio assicurativo di 700,00 € annui pagato per tredici anni, che oggi gli permette di curarsi in clinica e di non avere assilli finanziari, non potrà far altro che dirvi: “Sono i soldi meglio spesi nella mia vita!”. Non basta pensare che le probabilità che succeda a me sono poche: fino a cinque secondi prima dell’incidente lo pensava anche lui.

“Gli Italiani sono un popolo fatalista, che preferisce accantonare risparmi in vista degli imprevisti, ma esita a coprirsi dai rischi”, scriveva tempo fa Giorgio Gaia sulle pagine de Il Sole 24 Ore. Nell’articolo si faceva riferimento a un retaggio culturale e alla mancanza di informazione. Purtroppo ci collochiamo come popolo tra gli ultimi in Europa anche in campo assicurativo: stando ai dati ANIA (l’Associazione Nazionale delle Imprese Assicuratrici) solo il 45 per cento delle case italiane è assicurato, malgrado l’80 per cento della popolazione sia proprietario di casa. Solo Portogallo e Grecia stanno messi peggio di noi. Si scende poi al 24 per cento sugli infortuni e a un misero 6 per cento per quanto riguarda la premorienza. Sempre nello stesso periodo in cui scriveva Gaia, anche sulle pagine de Il Corriere della Sera si dava spazio alla notizia di come la mancanza di cultura finanziaria portasse l’italiano medio a non assicurarsi, ma a preferire di tenere i soldi in conto per tutelarsi.

Dobbiamo invece capire quanto sia assolutamente importante ripianificare la propria posizione assicurativa, e come sempre non da soli, perché ormai sappiamo come l’emotività potrebbe crearci brutti scherzi.

Ed ecco finalmente svelato cosa c’azzecco io, consulente finanziario di lungo corso, con le assicurazioni: posso scegliere i titoli migliori, fare l’asset allocation più performante, ma se non informo i miei clienti sui rischi non finanziari che corrono, se non li sollecito a pensarci e non li aiuto nelle loro scelte in tal senso, rischio di aver vanificato il mio lavoro e peggio ancora i loro sacrifici. Per questo, nel corso dei nostri appuntamenti periodici, pongo regolarmente certe domande ai miei clienti: per capire se hanno coperture assicurative adeguate e analizzarle per loro.

Non è il mio lavoro collocare polizze assicurative, ma è il mio lavoro accertarmi che almeno le coperture di base esistano, dalla polizza casa che tutti devono avere, passando per la polizza di responsabilità civile, fatta anche solo per assicurare dai danni provocati dagli animali domestici a terze persone, oppure le coperture di base per i liberi professionisti.

Sto approntando un questionario che metterò sul sito appena pubblicata la Guida, che vi permetterà di capire se siete correttamente assicurati, e se lo vorrete potremo analizzarlo insieme. Incontrando il proprio consulente finanziario ci si aspetta di parlare di interessi, cedole e capitale. Nei discorsi ci dimentichiamo spesso del capitale vero, e cioè il capitale umano.

Seguire il Webinar e scaricare la Guida potrebbe aiutarti a vedere se sei adeguatamente protetto. Se lo ritieni importante, iscriviti e invita i tuoi amici a fare lo stesso.

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A rischio il conto del coniuge?

A rischio il conto del coniuge? Più di un cliente, dopo aver letto questa questa notizia comparsa sui giornali nei giorni scorsi, mi ha fatto delle domande in proposito. Cerco di rispondere qui.

La Corte di Cassazione, con la Sentenza n° 8.000 del 22 marzo 2021, ha avvallato quanto disposto dall’Agenzia delle Entrate in merito alla possibilità di verifica della posizione bancaria del coniuge,ove vi fosse una delega a operare.

Sappiamo bene che una delle usanze più comuni, tra gli Italiani che contraggono matrimonio, è la cointestazione del proprio conto corrente oppure la delega a operare al coniuge. L’Agenzia delle Entrate ha perciò cominciato a indagare per i movimenti del delegato, sul conto dell’altro coniuge o dei famigliari.

Nella Sentenza n° 8.000 della Cassazione erano sotto la lente in particolare i movimenti di un contribuente per redditi professionali, che secondo l’Agenzia delle Entrate non sono stati dichiarati e fatti transitare impropriamente sul conto della moglie per eludere la tassazione. L’Agenzia ha fatto notare che i movimenti fatti dal coniuge su quello dell’altro, in assenza di una giustificazione (cioè tacciabili) hanno una presunzione di ricavi non dichiarati. In assenza di una giustificazione si può quindi incorrere in un accertamento fiscale.

Cerchiamo di fare ordine. È possibile avere un conto cointestato o con delega e far transitare il denaro dell’altro coniuge: l’importante è avere una giustificazione sulla provenienza dello stesso. Una coppia che fa transitare gli stipendi o i proventi delle fatture su un conto non corre rischi, sempre che gli stessi siano tacciabili. La coppia, che ha un conto casa nel quale arrivano bonifici dai relativi conti personali/professionali, non corre rischi. Il frontaliere che versa contante sul conto cointestato dopo averlo cambiato nel Paese straniero può giustificare la provenienza del denaro: e quindi non si connota la possibilità di un’evasione, essendo la provenienza del denaro tacciabile (anche se è sempre consigliabile, per una tranquillità maggiore, effettuare un bonifico).

Corrono rischi invece coloro che versano, ad esempio, contante sul conto del coniuge senza un’adeguata giustificazione o che ricevono bonifici sul conto della moglie e intestati a loro e così via. L’Agenzia delle Entrate può, anche in assenza di contraddittorio, fare accertamenti sui conti correnti: lo stabilisce la sentenza, adducendo che sono accertamenti amministrativi atti a verificare illeciti e discrezionali dell’Ufficio, che non è perciò tenuto a informare il contribuente dell’accertamento.

Come sempre noi Italiani non difettiamo di fantasia. Vorrei però far notare che questi escamotage per non pagare le tasse potrebbero ribaltarcisi contro, perché il costo stesso dell’accertamento potrebbe essere elevato. Come sempre incorrere in un accertamento, a prescindere dalla legittimità delle accuse, è un problema che comporta costi e fastidi, e l’onere della prova della correttezza dei movimenti è in capo al contribuente.

In casi come questo avere una buona copertura assicurativa per l’assistenza legale, specialmente per un professionista, potrebbe essere una spesa che in caso di bisogno tornerebbe molto utile. Le assicurazioni possono aiutarci in molte delle situazioni che la vita ci pone davanti: ne parlerò anche nel mio webinar del prossimo 31 maggio, quando parleremo delle varie tipologie di tutela.

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L’inflazione: chi la vuole davvero?

La bella di Torriglia

L’inflazione assomiglia un po’ alla bella di Torriglia: tutti la vogliono, ma nessuno se la piglia. E un’inflazione al 2% è uno degli obiettivi dichiarati della Banca Centrale Europea.

Negli anni scorsi abbiamo sentito ripetutamente i governatori delle banche centrali auspicarsi di avere inflazione, la famosa “inflazione buona” che serve al ciclo economico. Oggi che l’inflazione ha dato segni di ritorno (l’altro giorno il dato americano era 4,2%) tutti gridano “al lupo al lupo”.

Con tutta la liquidità pompata nel sistema dalle banche centrali per far ripartire l’economia, era prevedibile che prima o poi questa sarebbe ripartita. Siamo di fronte a una crescita della produzione che concettualmente è una cosa buona e che potrebbe portare nel medio periodo all’aumento dei tassi da parte delle banche centrali, per evitare che la crescita sia talmente forte da portare a un’iperproduzione, ma credo che siamo ancora lontani da questa situazione.

Con la ripresa dell’economia è aumentata la richiesta di materie prime, le quali, come tutti i beni,sono soggette alla legge della domanda e dell’offerta: aumento della richiesta a parità di offerta uguale aumento dei prezzi. L’aumento dei prezzi delle materie prime porta a un aumento dei prezzi dei beni finali, e di conseguenza porterà all’aumento dell’inflazione. L’unica cosa che manca in questo circolo è l’innalzamento dei salari e del costo del lavoro: cosa che sicuramente si auspicano i lavoratori, i quali vedrebbero alzarsi la loro busta paga.

Approfittando delle notizie sull’inflazione, da dietro i cespugli sono riemersi gli speculatori checercano di muovere i listini in maniera violenta per poter marginare, cioè guadagnare. Uno speculatore potrebbe ad esempio vendere azioni sulle quali ha fatto un guadagno nell’ultimo anno eacquistare materie prime facendone alzare il prezzo, per poi venderle a breve quando il ciclo comincerà a stabilizzarsi. Gli speculatori usano come al solito le notizie per creare tensioni e gli investitori che abboccano all’amo vendono, magari consolidando delle perdite vedendo i listini scendere. Agire sul mercato azionario amplificando la notizia dell’inflazione è il loro gioco.

Seguire gli speculatori è tipico dell’investitore che non ha pianificato e analizzato i propri obiettivi ed orizzonti temporali. In un’ottica di medio-lungo periodo, i movimenti di una settimana, di unmese, non sono altro che un piccolo movimento della curva. Ecco perché una volta pianificati i propri investimenti, questi movimenti di mercato non sono più problemi, ma eventualmente occasioni di acquisto.

Ai miei clienti, in un momento come questo, di solo domando e dico cose del tipo: “Abbiamo pianificato un investimento in accumulo per tua figlia/o per l’università, se l’inflazione sale o scende non la mandi più all’università? E inoltre in accumulo ci siamo detti che le contrazioni sono occasioni di acquisto, quindi potrebbe essere intelligente investire del denaro”. Oppure: “Abbiamo investito nei consumi cinesi con un certo orizzonte temporale, che come ben ricordi non era di tre mesi. La Cina nei prossimi anni diventerà l’economia più grande, per i motivi che ci siamo detti, vorresti esserci in quel momento o no?”. 

Aver ancorato, pianificato, un investimento ci porta a non commettere errori, avere qualcuno che te lo ricorda quando le tue emozioni si fanno vedere serve a non perderlo mai di vista. In acque calme va bene qualsiasi capitano, in acque agitate preferirei essere sulla nave con un capitano che conosce il mare e che mi tiene lontano dai pericoli.

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Vuoi un Mondo migliore? Investi.

Ricordate la maglietta gialla con lo Smiley che compare tra l’altro nel mitico film Forrest Gump? Oggi usiamo regolarmente le Emoji, che altro non sono se non le figlie di quella faccia gialla sorridente disegnata per la prima volta da Harvey Ball nel 1963: lo smile fu appeso alle scrivanie dei dipendenti di una compagnia assicurativa Worcester, nel Massachusetts, allo scopo di sollevare il loro basso morale. Nella trama del film, Forrest crea in realtà lo Smiley quasi per caso, donandolo poi immediatamente a quello che è considerato a tutti gli effetti il suo inventore.

È proprio con il personaggio di Forrest che oggi voglio portarvi a riflettere su quanto il business e gli affari, che spesso sono visti come un qualcosa di molto astratto e lontano dal mondo reale, quasi di cattivo, possano essere invece ricondotti spesso e volentieri a qualcosa di molto più concreto e terreno e, perché no, di sostenibile. Nel caso di Forrest, lui passa con leggerezza e quasi per caso da un successo all’altro, a seconda degli accadimenti spesso anche dolorosi che si presentano nella sua vita: dalla compagnia di pesca dei gamberi alle magliette con lo Smiley, passando per le racchette da ping pong alle partite di football americano.

In tutti questi passaggi Forrest mantiene sempre il suo carattere generoso al limite dell’ingenuo e il suo sguardo fanciullesco sul mondo e sulle persone che lo abitano: riesce ad arricchirsi e a diventare famoso senza svendere se stesso e i valori in cui crede e che gli sono stati trasmessi. Ed è sempre qui che noi, legati al mondo reale, pensiamo: che bello sarebbe se si potesse davvero investire in qualcosa e nello stesso tempo fare del bene. La verità però è che crediamo che la Finanza non possa essere positiva, né tantomeno etica o sostenibile. 

Eppure parliamo di quella stessa Finanza che tanto influisce sulla nostra vita e che negli anni ha creato esigenze e mercati del tutto nuovi. Henry Ford creò la sua Model T, creando dal nulla il mercato delle auto e trasformando il carro in un mezzo a vapore. La Procter & Gamble ha trasformato il dentifricio, nato con gli Egizi, in un presidio medico con aggiunta di fluoro per i denti, creando di fatto un mercato.

Ma si può investire e fare del bene?

Uno dei problemi più grandi che assilla il nostro Pianeta, e che sicuramente si ripercuote sui nostri figli e potrebbe drammaticamente ripercuotersi sui nostri nipoti e pronipoti, è quello dello smaltimento dei rifiuti e in particolar modo della plastica. Oltre che a riciclare le bottiglie oppure andare a fare pulizia volontaria nei boschi e sulle spiagge nel nostro tempo libero, cosa altro possiamo fare per aiutare il mio Pianeta?

La risposta? È investire. Sì, avete proprio capito bene: investire. Nella fattispecie in tutte quelle aziende che si occupano del riciclo piuttosto che della produzione di contenitori biodegradabili.Tempo fa vi parlavo dell’inceneritore in centro a Copenaghen, che è a impatto zero: investire in aziende che costruiscono questi inceneritori ci produrrà utili e aiuterà il nostro mondo; i nostri soldi messi in queste aziende ci daranno un mondo migliore, a partire da quel plastica free che tanto ambiamo per le future generazioni.

Un altro argomento molto dibattuto è quello del benessere: ritmi frenetici, stress, preoccupazioni (e mettiamoci anche pandemie) ci creano forti disagi, che influiscono davvero negativamente sulla qualità della nostra vita. Una delle conseguenze dirette di questo disagio sociale è il decremento demografico: la cui causa più macroscopica è data dal fatto che le famiglie fanno meno figli, innanzitutto perché, se lavorare tutti quanti è diventata un’esigenza, non saprebbero materialmente a chi affidare i figli nei loro primi anni di vita mentre i genitori sono al lavoro; oppure, anche se lo sanno, non potrebbero permettersi il costo degli asili nido. Come evitare un simile tracollo, che si ripercuoterà tragicamente sul nostro futuro? Anche qui, la risposta è una sola: investire. Investire in società che fanno del Welfare un vero e proprio must potrebbe allora essere un bene non solo per le aziende, non solo per i genitori, ma anche per noi. Maggior Welfare significa più nascite, più nascite a tendere significa più lavoratori e minor pressione sulle pensioni.

All’interno delle nostre scelte di investimento, in base alle nostre esigenze, possiamo inserire prodotti che hanno una duplice funzione: far crescere il nostro denaro e far del bene al nostro Pianeta o farci star meglio. Alla fine più nascite significa anche più gioia, più vita e un mondo di conseguenza migliore: che può crescere anche a misura di bambino, tornando a pensare al nostro Forrest.

Puoi investire, guadagnare e fare del bene. Non ci credi?

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Occhio, malocchio, prezzemolo e Sell in May

Sell in May and go away – concettualmente: vendi in maggio e resta liquido sino all’autunno – è una delle credenze più popolari nel mondo degli investitori. A questa credenza possiamo anche associare “Vendo in fondo all’ottava” e “La terzina finisce venerdì e io entro” e tante altre che mi è capitato di sentire durante la mia vita di consulente.

Queste credenze di solito cercano di rendere logico e prevedibile una cosa che è difficilmente prevedibile, cioè l’andamento di mercato. La verità è che queste credenze non hanno nessun fondamento logico.

L’ottava così come l’intende un investitore, ad esempio, era un tempo riferita alla settimana di Borsa, da lunedì a venerdì: cinque giorni. Un attentato, una pandemia improvvisa o un qualsiasi altro evento accidentale può infatti rompere la sequenza dell’ottava o qualsiasi sequenza logica che dir si voglia. Gli stessi gestori dei fondi usano strumenti di protezione dagli eventi inattesi e un trader esperto si copre sempre dalle possibili correzioni improvvise.

Diceva Benjamin Graham: “Nel mercato azionario si hanno due scelte: arricchirsi lentamente o impoverirsi rapidamente”. Ci vuole infatti una logica di lungo periodo nel mercato azionario, perché il fattore tempo è l’unica certezza per avere un guadagno pressoché sicuro. Se avessimo seguito il Sell in May negli ultimi dieci anni, avremmo perso il 27 per cento, come si può vedere dall’analisi di DNCA relativamente all’indice di borsa più importante: lo Standard & Poor 500.

La verità è che queste credenze, insomma, assomigliano molto di più alla superstiziosa filastrocca recitata da Lino Banfi in “Occhio, malocchio, prezzemolo e finocchio” che alla sequenza logica di un matematico. Warren Buffet, da tutti conosciuto come il più grande investitore della Storia, afferma sulle previsioni di Borsa: “Le previsioni possono dirti molto sul carattere di chi le fa; ma non ti dicono nulla sul futuro”. Questo ci fa capire come prevedere ciò che il mercato potrà ottenere è un lavoro oserei dire inutile. Un consulente finanziario ha la possibilità di appiattire le oscillazioni del mercato attraverso la diversificazione, ma non può assolutamente prevedere l’andamento del mercato con precisione.

Utile è avvantaggiarsi nei momenti di crescita e proteggersi nei momenti di calo, e ci sono poche e semplici regole per farlo: una sopra tutte non mettere tutte le uova nello stesso paniere. Harry Markowitz, che non a caso ricordiamo come l’economista che ha cambiato il concetto di investimenti, con questa affermazione riassumeva la logica dell’asset allocation. Bisogna investire cioè secondo la propria propensione al rischio e secondo i propri obiettivi e le proprie esigenze: tutti concetti che sono apparsi con la nascita della Finanza comportamentale, perché ci si è resi conto che psicologia e finanza viaggiano spesso a braccetto.

Se ottenere un risultato positivo dai propri investimenti sia il risultato della conoscenza di questo o quell’algoritmo o di questa o quella sequenza, lasciamolo teorizzare ai gestori: l’importante per noi deve essere avere ben chiaro quali siano i nostri obiettivi e il nostro tempo di investimento, sapere che qualcuno ci aiuterà a gestire le nostre emozioni e che il tempo aiuta il denaro a lavorare per noi.

Per pura necessità di stabilire una par condicio, stabiliamo perciò che la conoscenza del Mercato pesa nei risultati finanziari per il 50 per cento: il resto lo fanno i nostri comportamenti. Ecco perché nel mio Metodo SFIDE metto anche l’Educazione finanziaria, la E dell’acronimo appunto, come elemento fondamentale: bisogna cioè conoscere come facciamo le nostre scelte finanziarie, perché sapere quali sono gli errori più comuni che possiamo commettere ci aiuta a non ripeterli.

A tal proposito a giorni uscirà su queste pagine l’opuscolo “I 5 errori dell’Investitore”: invita un amico a scaricarlo così da aiutarlo a fare come te, cioè a non sbagliare. E se hai ancora dei dubbi sulle scelte da non fare…

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La consulenza finanziaria? Vale il suo costo

Canta Paolo Conte in Bartali: “… E i Francesi che s’incazzano…”: beh, oggi a non essere tanto per la quale siamo noi.

Tre mesi fa parlando dei clienti di UBI passati a BPER e Banca Intesa, ho accennato alla possibilità che i francesi di Crèdit Agricole comprassero Creval (il Credito Valtellinese). E così è profeticamente stato. I Francesi si accaparrano l’ennesima banca italiana,dopo BNL e Cariparma.

Se non possiamo sapere a priori, almeno per ora, come sarà il passaggio tra Creval e Crèdit Agricole, sappiamo invece perfettamente che i clienti UBI venduti a BPER non se la stanno passando bene. Nel corso dell’ultimo periodo ho incontrato diversi clienti ormai “ex UBI”, che mi hanno esternato una serie di problematiche. Quali? Nell’ordine: aumento del costo del conto, variazione dei dati sulle utenze che non è andato a buon fine (con conseguenti disagi non solo morali), online letteralmente inutilizzabile… Niente di cui andar contenti, insomma. Non si può certo dire che, sulla pelle degli utenti, il passaggio di consegne tra Enti bancari sia stato indolore.

Non dico che le altre banche non abbiano dei problemi: chi più chi meno si scontra giornalmente con questo o quello scoglio da superare; oppure funzioni che non hanno mai dato motivi di preoccupazione, improvvisamente presentano cambiamenti e conseguente destabilizzazione e momenti di riallineamento. Succede, sta nell’ordine delle cose. Un conto è però avvicinarsi a una nuova realtà senza nessun aiuto, essendo abbandonati letteralmente a se stessi, e un altro è cambiare banca (ricordiamo: non per propria volontà, ma per decisioni prese dall’alto) e avere una persona di riferimento, che in caso di bisogno o di confusione in fase di avvicendamento possa dare consiglio e aiuto in maniera pratica e mirata.

In un mondo che cambia continuamente, inesorabilmente e soprattutto velocemente, dobbiamo cambiare in maniera radicale il paradigma Banca/Immobile in Banca/Consulente: è questa la nuova frontiera per gli investitori, anche perché gli Istituti stanno sempre più orientandosi verso la digitalizzazione e l’informatizzazione dei servizi a discapito del fattore umano.

Possiamo anche pensare che le piattaforme digitalizzate e tutte le funzionalità oggi disponibili grazie a Internet possano sostituire le persone, ma come diceva Albert Einstein: “Temo il giorno in cui la tecnologia andrà oltre la nostra umanità: il mondo sarà popolato allora da una generazione di idioti”.

Oggi invece più che mai il rapporto umano è fondamentale: negli Stati Uniti, dove la tecnologia è più avanzata, stanno implementando il rapporto Cliente/Consulente con studi legati alla Psicologia e alla Finanza comportamentale. In un mondo complesso c’è sempre più bisogno di avere comportamenti e conoscenze che ci permettano di superare le crisi.

Secondo un articolo comparso lo scorso anno su Wall Street Italia, il 77% degli investitori statunitensi che hanno scelto un consulente ha dichiarato che la consulenza finanziaria vale il suo costo, non tanto e solo per i rendimenti, ma per il rapporto e la prossimità che si crea col proprio consulente e i suoi consigli. Il fattore umano conta dunque ancora tanto.

La questione Creval non sarà l’ultima del suo genere: sul piatto dell’economia ci sono ancora situazioni difficili che si andranno via via a definire, come ad esempio il caso di MPS: ma c’è da scommettere che anche in questo caso i clienti dell’istituto non saranno interpellati. La banca è solo un mezzo come il denaro: il fine sono le persone, che si meritano di avere riferimenti chiari che le possano aiutare nelle scelte.

Nel mio Metodo SFIDE cerco di risolvere anche la questione riferimenti: la D sta infatti per Disponibilità, ovvero risposte chiare in tempi brevi. Resto sempre dell’avviso che partire dagli obiettivi delle persone è ciò che contraddistingue un consulente da un venditore di percentuali.

Non posso cambiare l’andamento del mercato: ma posso far sì che l’andamento del mercato non cambi i miei obiettivi.

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Dietro le opportunità del Recovery Plan si nascondono gli investimenti vincenti del futuro

Il mio professore di Italiano delle scuole superiori diceva sempre: “Le parole pesano più degli incudini”. Se questa affermazione è vera, allora le parole pronunciate nel corso di quest’ultima settimana dal nostro Presidente del Consiglio Mario Draghi in merito al Recovery Plan ci devono far riflettere.

Draghi ha citato Luigi Einaudi, uno dei padri fondatori della nostra Repubblica, ha predicato di onestà e di correttezza da anteporre alla corruzione e alle mire personali e ha parlato innanzitutto del futuro e della possibilità o meno, a seconda di come agiremo, di lasciare in eredità una Nazione in salute ai nostri figli e nipoti.

Il Recovery Plan è a mio avviso paragonabile a quanto avvenne nel primo dopoguerra con il Piano Marshall, il piano di ricostruzione dell’Europa post bellica: quella che abbiamo vissuto, e in parte stiamo ancora vivendo, non può infatti essere considerata una guerra? Come il Piano Marshall portò a un’esplosione di benessere, anche il Recovery potrà avere lo stesso effetto: la speranza è che le premesse siano confermate. A dare credito alle parole dell’ISPI (l’Istituto per lo Studio delle Politiche internazionali) potremmo dire di essere finalmente nelle mani della persona giusta: Mario Draghi, per l’appunto. 

Super Mario, insomma, salverà anche l’Europa. Sembra infatti realizzabile, sempre secondo l’ISPI, la previsione che, da ultimi della classe, noi Italiani possiamo diventare studenti modello. La percezione dell’Italia in Europa è infatti radicalmente cambiata grazie alla leadership del nostro Presidente del Consiglio. E a dirlo non è una voce qualunque, ma quella del Financial Times: due settimane fa era stato invece il New York Times a spiegare come Draghi stesse “cambiando l’Italia e salvando l’Europa”

Pensando all’Italia (e mi piace davvero pensarla così) mi viene in mente uno di quei personaggi da film a cui, dopo aver fatto una montagna di bischerate, è data la fantomatica ultima possibilità: e il nostro personaggio, come per magia, si ravvede e la sfrutta davvero, questa opportunità. Il film si conclude con il trionfo del protagonista, ormai divenuto un eroe all’apice del suo successo.

A questo punto mi sono chiesto quali potrebbero essere i settori o i cosiddetti trend a cui indirizzare i miei clienti per i loro futuri investimenti. Se guardiamo al Recovery Fund emergono, e non solo per l’Italia, una serie di temi ricorrenti:

la Digitalizzazione e tutto ciò che riguarda i dati (uso e security soprattutto);

il Green (nello specifico la de-carbonificazione);

i Giovani e la Disparità di genere.

La Digitalizzazione è ormai entrata nelle nostre vite: ne parla costantemente il Ministro per la Semplificazione e la Pubblica amministrazione Renato Brunetta, che ne ha fatto un vero e proprio cavallo di battaglia del suo ministero, tanto da dichiarare che il 70 per cento del nostro Prodotto Interno Lordo (PIL) lo farà in futuro la Pubblica Amministrazione, attraverso semplificazione e digitalizzazione. Diventa ormai impossibile restare fuori da questo circuito: dal semplice acquisto su Amazon, fino alla transazione in bitcoin, i nostri dati sono tracciati, accumulati, lavorati e spesso e volentieri purtroppo anche venduti al migliore offerente. Quindi si capisce che ormai anche il tema della sicurezza informatica sia diventato ineludibile e fondamentale: un investitore avveduto non può assolutamente restar fuori da questa opportunità, perché le società tecnologiche faranno un salto in avanti notevole.

Del tema Green ho già parlato diffusamente qui e altrove: è un processo irreversibile di sopravvivenza. La Cina parla di de-carbonificazione, le imprese plastic free si moltiplicano, il riciclo è un must, le energie alternative sono in ascesa, le macchine sono sempre più ibride (io ad esempio sono alla mia seconda auto ibrida) o elettriche. Questo è un trend fatto da un’infinità di settori da cui non si può star fuori.

Da ultimo bisogna riflettere sul fatto che i Millenials – che direzionano già massivamente le grandi aziende tecnologiche, da Facebook a Google – sono quegli stessi giovani che avranno una fetta importante del Recovery per l’avvio di nuove attività: di conseguenza influenzeranno molto la nostra ripresa. Per non parlare delle donne, vista la tendenza a garantire le pari opportunità non più solo sulla carta ma anche fattivamente, spingendo lo sviluppo dell’imprenditoria femminile.

Queste sono le aree che, a mio parere, potrebbero beneficiare maggiormente del Piano e sono tutti settori e trend da tenere in grande considerazione, non per un investimento una tantum, ma come parte integrante della propria strategia di investimento.

… Vuoi che la tua strategia di investimento diventi più green, digital….? 

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La verità è che il Benessere passa dall’Istruzione

“Emergenza Covid-19: gli Italiani tra fragilità e resilienza finanziaria”: questo il titolo della ricerca commissionata lo scorso anno da Comitato per la Programmazione e il Coordinamento delle Attività di Educazione finanziaria (Comitato Edufin) alla società di ricerche e analisi di mercato Doxa.

Nel leggere l’analisi mi ha colpito una cosa in particolare: e cioè che, in momenti di contrazione, una maggiore conoscenza finanziaria e il grado di alfabetizzazione di colui che prende le decisioni migliorano la resilienza delle famiglie attraverso scelte più consapevoli.

La ricerca articolata e molto ben fatta ha evidenziato anche la diseguaglianza tra Nord e Sud Italia e la diversità di resilienza tra una famiglia in cui il decisore ha una preparazione universitaria rispetto a quella in cui il decisore ha una formazione di livello inferiore.

Questi risultati confermano quanto ho scritto anche di recente sul rapporto tra benessere e cultura: io stesso evidenziavo come le ricerche in merito abbiano messo in luce che una maggiore alfabetizzazione ha come diretta conseguenza un maggiore stato di benessere. Benessere che non va inteso solo come quantità di denaro posseduto, ma anche come stile di vita e qualità dei rapporti sociali.

Dalla ricerca di Doxa per Edufin emerge inoltre che gli Italiani hanno leggermente migliorato le loro conoscenze finanziarie dal 2017, data dell’ultima rilevazione, ma hanno leggermente peggiorato il loro comportamento finanziario. Mi sono chiesto come sia possibile che un miglioramento delle conoscenze non abbia portato in dote anche un miglioramento dei comportamenti.

Daniel Kahneman ha rivoluzionato l’approccio alla Finanza avvicinando sempre di più il mondo del denaro a quello della psicologia: grazie a lui, la Finanza comportamentale è diventata centrale nel mondo degli investitori. Oggi sappiamo infatti che non basta sapere cosa sia un’obbligazione per fare le scelte giuste: i comportamenti infatti sono la vera cartina di tornasole dei risultati degli investitori.

Conoscere a menadito tutti gli strumenti finanziari e non sapere come sistemarli nel nostro progetto di investimento è lo stesso che conoscere il motore di una macchina, saperla guidare, ma non saper leggere le cartine: il rischio di non arrivare da nessuna parte è molto alto.

Nel mio Metodo SFIDE, la I sta per Informazione e Incontri: cioè la conoscenza trasmessa ai miei clienti attraverso momenti di aggregazione e formazione continua, grazie ai webinar online e ai seminari in presenza, che io ritengo fondamentali nel nostro lavoro sui loro investimenti. La E invece sta proprio per Educazione finanziaria, che da ormai quindici anni caratterizza il mio lavoro di consulente: prima con il progetto “Io non ci sto” (che sanciva la volontà di non essere più l’ultima Nazione europea per conoscenze finanziarie) e ora con il progetto di divulgazione “Parla di finanza come mangi”, che ha l’obiettivo di comunicare in modo semplice, diretto e comprensibile i concetti finanziari.

Annamaria Lusardi del Comitato Edufin ha recentemente dichiarato “È sempre l’ora dell’educazione finanziaria! Non è una risposta alla crisi, ma al mondo che cambia. La crisi ha reso l’educazione finanziaria più urgente perché ha reso chiari e visibili a tutti i costi di non avere conoscenze finanziarie di base”. 

Si parla troppo economichese: in questo modo quello che si ottiene è l’allontanamento delle persone dagli investimenti e una asimmetria informativa. Banche e consulenti non possono nascondersi dietro l’io l’avevo detto. Sarebbe come se andassimo in Lapponia a fare un discorso in dialetto bergamasco: quanti ci capirebbero?

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