Zio, ma le Criptovalute?

Crypto Currency Research Concept with Keyboard and Magnifier. 3d render

Ieri sera è venuto a trovarmi mio nipote: sono anni che non lo vedo perché abita all’estero e tra pandemia e altro era da tempo che non ci sedevamo alla stessa tavola. Durante la cena mi ha fatto la fatidica domanda: “Zio, ma tu cosa ne pensi delle Criptovalute?” D’istinto mi è venuto da rispondere: ne penso tutto il bene e tutto il male possibile. E poi naturalmente ho argomentato la mia risposta. Una volta che mio nipote se n’è andato e mi sono messo a letto, il mio cervello, che di star fermo non ne vuole sapere, ha cominciato una serie di riflessioni che voglio condividere anche con voi.

Mi sono venute in mente molte delle persone con cui ho parlato di criptovalute e ho notato che possono essere divise in categorie. La prima categoria è quella dei cripto-investitori giovani: si avvicinano alle criptovalute perché le vedono come un modo semplice di investire (basta un click, come per acquistare un libro su Amazon oppure mettere in vendita un abito usato) e perché pensano di poter ottenere e raddoppiare il denaro in fretta; sono figli del loro tempo, del tutto e subito. La seconda categoria è quella degli investitori delusi, ovvero coloro che hanno provato a investire nel mondo azionario, non è andata bene, e pensano allora di rifarsi con le criptovalute, che ritengono più stabili e nelle quali è possibile guadagnare; peccato che così commettono lo stesso errore fatto con il mercato azionario: nessuna strategia uguale nessun risultato, alla prima correzione vera salteranno fuori nuovamente delusi e si diranno incapaci di investire, quando invece hanno solo sbagliato strategia. Queste due categorie sono accomunate dalla mancanza completa di strategia: investono tanto per farlo, e così facendo, senza un fine, raramente giungono a un risultato duraturo nel tempo. La terza categoria è composta da coloro che hanno una strategia di investimento più o meno espressa e usano le criptovalute come un gioco: il rosso e il nero del casinò, se va bene ottimo, altrimenti ci ho provato.

Perché allora piacciono così tanto le Criptovalute? Come zio Paperone e tanti altri nel Klondike cercavano l’oro, anche gli investitori di criptovalute fanno lo stesso: nel Klondike ci andavano i giovani in cerca di guadagni veloci, spesso poi scontrandosi con una dura realtà, chi aveva perso le speranze e si aggrappava all’oro e chi invece voleva provare un brivido; cambiano le epoche, ma non gli uomini.

Veniamo alle mie argomentazioni della risposta data a mio nipote. Non amo particolarmente le Criptovalute, e questo credo si sia capito, perché vanno contro ad alcune cose che io professo da tempo. Le criptovalute ad esempio non sono per nulla ecosostenibili: infatti una delle critiche mosse a questo asset è che l’energia consumata per far stare in piedi tutto il sistema sia talmente elevata che spesso rende quasi controproducente l’investimento. Leggevo un articolo specializzato, scritto da un docente della Bocconi: una serie di server di piccole/medie dimensioni consuma come una cittadina di media grandezza in termini di energia. La seconda cosa che non apprezzo nelle criptovalute è la non regolamentazione: spesso questo asset è stato accusato di essere un veicolo di riciclaggio di denaro illecito proprio per la mancanza di regolamentazione, e il fatto che le contrattazioni avvengano one to one a distanza: pensate a quello che è successo con la truffa a danno dei risparmiatori perpetrata con la presunta criptovaluta legata a una nota serie televisiva, nata e sparita a stretto giro di posta.

Le Criptovalute hanno al loro interno una contraddizione: sono dai più considerate come moneta, in quanto servono per trattare beni e servizi, anche se non hanno la connotazione classica della moneta. Questo fatto crea una serie di discussioni, che hanno portato anche alcuni Stati a metterle al bando e altri invece a utilizzarle. Quando le Banche Centrali ci metteranno mano, anche questo mondo avrà uno scossone.

Al netto di queste riflessioni, le criptovalute sono un asset interessante se ci si vuole investire, ma come sempre all’interno di una logica. Cerco di fare un esempio. Immaginiamo una piramide: per stare in piedi deve poggiare su una base solida. Se la piramide della mia vita finanziaria ha alla base una criptovaluta, con tutte le sue variazioni, non sarà una piramide solida; viceversa se la punta della mia piramide è in criptovalute, la sua oscillazione mi creerà meno scossoni. Quindi dobbiamo pensare alla nostra pianificazione finanziaria così, con una base solida e una punta ballerina: spesso l’investitore in Cripto poggia però la sua piramide sulla punta.

In ultima analisi, la responsabilità degli operatori è quella da un lato di non demonizzare a prescindere le criptovalute, perché sono comunque un asset di investimento; dall’altra quella di non enfatizzarle troppo come strumenti di speculazione. Come dico sempre il denaro è un mezzo e la persona il fine, perciò lo scopo delle criptovalute deve essere, come per tutti gli asset, quello di portare il cliente a stare domani meglio di oggi.

Prima di investire in Criptovalute conviene valutare come è messa la propria piramide.

PS. Se vuoi approfondire questi e altri temi iscriviti al mio gruppo Facebook e se già sei iscritto invita un tuo amico a farlo. E se vuoi leggere il mio libro “La Finanza dei Pomodori”

CONTATTAMI

… Ma dove li investiamo?

Money and investment concept

“Ho visto il tuo video e ho del denaro da investire, ma dove lo mettiamo?” Il tono delle chiamate dei clienti, durante questa settimana appena trascorsa, era più o meno questo. Al di là di idee lecite, dal rublo all’oro passando per le terre rare, ho fatto con loro alcune riflessioni che voglio condividere. Partiamo dal fatto che non possiedo la sfera di cristallo, che tra l’altro non è appannaggio di nessuno, ma cerco di fare dei ragionamenti guardando al mondo, leggendo e cercando di capire dove ci porterà il cambiamento, evitando di dare questa o quella obbligazione oppure questa o quella azione.

La guerra che stiamo purtroppo vivendo ha aumentato l’interesse in un settore che è diventato strategico, quello della Cyber Security; un cliente allarmato mi ha chiesto: “Ma se attaccano le banche e non abbiamo più accesso al denaro?” Non escludo che una possibilità di attacco al sistema bancario ci possa essere, ma ho forti dubbi che possa essere così profondo da impedirci di usare il nostro denaro. In tutta onestà sarei più preoccupato se fossi un investitore di criptovalute – ambito in cui, con una regolamentazione quasi assente e la mancanza di un organo centrale molto forte, la possibilità di hackeraggio potrebbe aumentare. Detto questo, la protezione dei nostri dati è fondamentale e rimane quindi uno degli argomenti da monitorare con attenzione e di cui valutare le potenzialità in termini di investimento.

La pandemia prima e la guerra poi stanno evidenziando la sempre maggior importanza di quelli che sono i servizi alla persona, che vanno dalla sanità sino al welfare, passando per integrazione e diversità di genere e non dimenticando formazione e cultura che, come dico sempre, è sinonimo di benessere. Come si vede la carne al fuoco è veramente tanta, ma il mondo e gli investimenti dovranno sempre più tener presente la persona: si parla infatti da tempo di passare da una logica di solo profitto a una logica più sociale. Anche questa settimana, durante le mie letture, mi sono imbattuto in un paio di articoli che mettevano in risalto questo fattore. E ancora sempre più aziende, oltre al classico bilancio, presentano il bilancio sostenibile, dove la logica sociale rientra a pieno titolo. Il PNRR, il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza, ha una serie infinite di voci che hanno la persona al centro, proprio perché, anche se non ce ne accorgiamo, il paradigma del mondo sta piano piano cambiando e come sempre anche i più riluttanti alla fine dovranno  adattarsi: quindi una serie di argomenti su cui mettere la propria attenzione da investitore. Altro argomento molto attuale è l’ambiente: non possiamo, per la nostra sopravvivenza, mancare gli accordi di Parigi sull’ambiente per il 2050.

Ammetto di essere una buona forchetta e di frequentare i supermercati: durante i miei pellegrinaggi per le derrate alimentari sono andato in una nota catena di supermercati, di cui non farò il nome, che sta posizionando nei suoi nuovi store macchinette per il recupero della plastica; devo dire che quando ho visto una coppia di ragazzi – lui che portava due sacchi di bottiglie di plastica e lei che spingeva una carrozzina – avvicinarsi alla macchinetta e infilare le bottiglie nel sistema di recupero ho avuto una bella sensazione e dentro di me mi sono detto: bravi, state salvando il mondo per vostro figlio. La cura dell’ambiente non è solo appannaggio delle grandi aziende che inquinano, ma di tutti noi, dalla carta buttata dal finestrino in su: è comunque una macro area dove si possono trovare occasioni di investimento molto interessanti.

Un’altra occasione d’acquisto potrebbe essere il mercato cinese: la Cina vuole diventare la prima economia mondiale e staccarsi dagli USA. Il governo cinese sta facendo di tutto per ridistribuire il reddito e far crescere l’economia, cosa che nel medio periodo porterà i suoi frutti.

Questi e altri settori possono essere importanti per i propri investimenti, ma come sempre il tutto deve essere in linea con la propria pianificazione di vita, che è molto più importante di tutti i settori e le aree geografiche degli investimenti.

Non so come andrà e quanto durerà la guerra, ma so che il mercato potrebbe oscillare nei prossimi mesi e quindi un altro consiglio che ho dato ai miei clienti è di prendere in considerazione di entrare in più momenti per mediare i prezzi, e se hai più tempo uno spettacolare piano d’accumulo, di cui a breve ci sarà una guida, che ti farà sfruttare oscillazioni e ripresa.

PS. Se vuoi approfondire questi e altri temi iscriviti al mio gruppo Facebook e se già sei iscritto invita un tuo amico a farlo. E se vuoi leggere il mio libro “La Finanza dei Pomodori”

Il tuo Amichevole Consulente di Quartiere

L’altra sera mi ha chiamato mio figlio e mi ha annunciato che sul lavoro gli è stata confermata la promozione e che quindi avrà, oltre a uno scatto di carriera, anche un aumento in busta paga. Dopo essermi congratulato con lui, gli ho detto: “Bene, adesso la metà di quello che è l’aumento lo accantoniamo, visto che finora hai comunque pagato il mutuo, le bollette e tutte le altre cose. Dell’aumento ne tieni la metà e dell’altra puoi farne anche a meno”. Dopo aver chiuso la telefonata, ho pensato: “Ma se mio figlio non avesse avuto un padre come me, che fa un mestiere come il mio, avrebbe pensato lo stesso di accantonare?” Probabilmente no.

Allora a chi serve davvero un Consulente Finanziario? Perché non ce l’hanno tutti? 

Per rispondere alla prima domanda dobbiamo partire dalla seconda. La maggior parte delle persone pensa di non potersi permettere un consulente finanziario: “Perché non ho molti soldi da accantonare” è la risposta più gettonata. Sono convinto che questa credenza derivi dal fatto che non è molto chiara la figura del consulente finanziario, che è visto come quello che deve fare fruttare i soldi di chi il denaro ce l’ha già. Il consulente finanziario in questo momento si trova invece, a mio avviso, a coprire una carenza strutturale che l’evoluzione delle banche ha creato: i nostri nonni e i nostri padri andavano in banca e trovavano un referente, che era lo stesso per molti anni, con il quale si creava un rapporto di fiducia, che conosceva tutta la vita del suo cliente. Spesso era il direttore di filiale stesso, il referente.

Negli ultimi anni abbiamo assistito a fusioni, incorporazioni e anche a sparizioni di interi istituti, cosa che a parer mio ha sbilanciato i clienti. Prima le persone avevano il rapporto con l’edificio bancario e con la persona che c’era all’interno: un tempo prima si conosceva la banca e poi il referente. Quanti nella mia zona parlano ancora del Credito Varesino! Poi le persone si sono trovate a dover gestire il rapporto con una persona, il consulente, e poi con l’edificio: anzi, molti la banca fisica oggi non la vedono neanche.

Molto di quello che stiamo vivendo, dagli acquisti fino alle riunioni di lavoro, anche a causa della pandemia che ha accelerato le cose, ormai è virtuale; ci stiamo perciò abituando a questa realtà, tanto da considerarla ormai normalità. Fare compere o avere un incontro di affari in remoto va bene, ma penso saremo tutti d’accordo nel dire che, per le cose importanti della vita, il caro vecchio rapporto umano è ancora fondamentale. Gli anglosassoni, che dal punto di vista finanziario sono il popolo più evoluto del mondo, hanno fatto del rapporto umano negli investimenti un fattore decisivo: il consulente infatti è una figura centrale della loro vita.

Allora perché in Italia siamo così restii? Ci sono un po’ di dubbi che i clienti hanno in proposito, e i più gettonati sono due:

  1. Se fallisce la banca oppure se tu consulente te ne vai, io poi a chi mi rivolgo?
  2. Tu consulente non mi costerai troppo?

Cominciamo con il dire che, spesso e volentieri, le banche che si avvalgono di consulenti sono più solide, non fosse altro per una politica dei costi più attenta, meno sedi fisiche che costano e miglior utilizzo della tecnologia. Per quanto riguarda il possibile fallimento della banca o il fatto che il consulente se ne vada, la dinamica è la stessa che per le altre banche: cioè qualcun altro subentrerà nella gestione del denaro. Questa domanda però ha sottintesa un’altra paura, comune anche nelle banche, per così dire, “tradizionali”: se l’istituto fallisce, che ne sarà dei miei soldi? Va detto che, con la divisione dei patrimoni dettata dalla normativa vigente, i miei investimenti sono distaccati dal patrimonio della banca: se non sono azionista, cioè non ho acquistato azioni o obbligazioni della banca stessa, non rischio nulla. Per ovviare a questo rischio io uso due deterrenti: risparmio gestito e diversificazione.

La seconda domanda invece presuppone il fatto che il consulente possa costare al risparmiatore più di quanto gli costi la banca stessa, la qual cosa non è sempre vera. Il 77 per cento degli Statunitensi afferma che il consulente vale il suo costo; un’indagine condotta nel Regno Unito ha dimostrato che i clienti dei consulenti guadagnano in media 45.000,00 € in più dei clienti che non li utilizzano. Quindi, dati alla mano, possiamo dire che la paura che il consulente costi è infondata. A questo aggiungiamo che i clienti dei consulenti sono mediamente più preparati, quindi, tanto per fare un esempio calzante, resistono molto meglio a momenti come quello che stiamo vivendo.

In un mondo che perde i suoi riferimenti – una volta nel paese erano sindaco, curato e medico – mi piacerebbe diventare l’Amichevole Consulente di Quartiere: non indosserò mai la tutina rossa di Spiderman né salterò giù dai tetti per correre in aiuto di qualche gentil donzella, ma metterò tutta la mia esperienza per salvare i risparmiatori dal pericolo che una cattiva lettura dei mercati e le loro paure possano far fare loro degli errori.

PS. Se vuoi approfondire questi e altri temi iscriviti al mio gruppo Facebook e se già sei iscritto invita un tuo amico a farlo. E se vuoi leggere il mio libro “La Finanza dei Pomodori”

CONTATTAMI

Investimenti tra guerra e psicologia

Fonte: Ilsole24ore

Putin alla fine ha deciso di invadere l’Ucraina: in questo momento non sono importanti le motivazioni dietro questo attacco, ma il prenderne atto. L’invasione dell’Ucraina mette ulteriore carne al fuoco sui mercati che sono già in ansia per tassi e inflazione. Scindiamo però gli accadimenti: parliamo di un fatto violento, la guerra, e di un fatto macroeconomico, tassi e inflazione. Le due cose non andrebbero messe sullo stesso piano, anche se entrambe vanno ad influire sui mercati finanziari.

I fattori macroeconomici dovrebbero farci preoccupare, ma per assurdo lo fanno molto meno della guerra: perché? Esiste una parte del nostro cervello, che è chiamato cervello rettile – che è considerato dagli scienziati il nostro cervello ancestrale: si tratta cioè della sua parte più vecchia, quella che ha la funzione di metterci in allerta dai pericoli, quella che faceva scappare i nostri avi preistorici per evitare l’attacco degli animali. La funzione di questa parte del cervello si attiva quando sentono parole come “guerra”: ci mettono in allerta, e l’allerta è una buona cosa, perché ci fa stare belli svegli e attenti.

La parola guerra, però, evoca giustamente anche dei sentimenti: innanzitutto la paura. La paura in sé non è né buona né cattiva: se abbiamo paura dell’acqua e non sappiamo nuotare, questo ci evita di annegare perché non ci fa avvicinare. La paura però non deve sfociare in panico: se cado in acqua e non so nuotare, la paura può diventare panico e io mi dibatto fino ad affondare, anche se per una legge della fisica il mio corpo da fermo potrebbe galleggiare e impedirmi di andare a picco. Ecco un esempio di come una escalation di paura che sfocia nel panico possa essere deleteria per la nostra stessa sopravvivenza.

La stessa identica cosa vale per il nostro denaro: la paura è lecita, e tutti i sentimenti sulla guerra sono giusti, ma non devono diventare panico. Il panico, come per chi cade in acqua non sapendo nuotare, ci fa dibattere e ci crea stati d’ansia che difficilmente riusciamo a gestire e questo ci porta presto o tardi a fare errori. La filosofia buddista, ad esempio, combatte gli stati di ansia con la meditazione: visto che però non possiamo fare un corso di meditazione in un giorno, vediamo di fare altro, e cioè ragionare.

Se guardiamo alla Storia, ogni volta che succede un fatto violento il mercato reagisce allo stesso modo. Osservando il grafico che segue, possiamo vedere come l’11 Settembre, all’interno della crisi Dat-Com, è solo una correzione breve e che ha avuto una reazione violenta. Quindi, come dico sempre, la calma in questo momento è fondamentale: bisogna evitare di farsi prendere nella rete di chi butta legna sul fuoco con paroloni tipo “Bruciati milioni in Borsa!” o cose di questo genere, che non fanno altro che alimentare l’ansia.

Msci.it

Il denaro investito tornerà certamente ai valori che aveva prima, e l’unico modo per non tornare in possesso dei propri denari è vendere: quindi l’unica garanzia per conservare il proprio denaro è lasciarlo investito.

Se addirittura vogliamo economicamente sfruttare il momento di flessione, l’unica cosa da fare è innanzitutto spegnere la TV e poi metterci altro denaro. 

Preferisco essere l’uomo della coffa che guarda lontano, piuttosto che stare in coperta in balia delle onde. Quindi barra a dritta e avanti tutta.

PS. Se vuoi approfondire questi e altri temi iscriviti al mio gruppo Facebook e se già sei iscritto invita un tuo amico a farlo. E se vuoi leggere il mio libro “La Finanza dei Pomodori”

CONTATTAMI

C’era una volta il Millennium bug

Computer bug, failure or error of software and hardware concept, miniature red ladybug on black computer motherboard PCB with soldering, programmer can debug to search for cause of error.

Vi ricordate del Millennium Bug? Conosciuto anche come Y2K Bug, avrebbe dovuto mandare in tilt tutti i computer del Pianeta allo scoccare della mezzanotte del 1° gennaio 2000. Gli esperti di informatica iniziarono a parlarne già diversi anni prima: anche l’allora Presidente degli Stati Uniti, Bill Clinton, mise in guardia la propria nazione sul possibile pericolo che si stava correndo. A distanza di ventidue anni sappiamo ormai che non successe nulla, o quasi: solo pochi programmi manifestarono dei problemi e tra l’altro di non così grave entità.

Ogni volta che all’orizzonte s’intravede un possibile problema, entrano in ballo i catastrofisti che con dovizia di particolari c’informano di come il mondo finirà: anche nel momento in cui stiamo vivendo, ad esempio, ci sono persone che prospettano uno scontro fratricida tra Russia e Ucraina. Certo una guerra del genere è possibile, ma personalmente mi chiedo: a chi conviene veramente spingere verso una tale prospettiva? Non dico che non si debba stare allerta, ma credo anche che tutta quanta l’umanità, Russia compresa, non abbia alcun interesse a estinguersi a causa di una guerra nucleare. Sino ad ora comunque – e con buona pace dei catastrofisti – il mondo non è ancora finito e anzi il progresso continua.

Un’altra tendenza attualmente molto in voga è il caro vecchio ricorso al “si stava meglio quando si stava peggio”. Chiedetevi però se vorreste vivere come un vostro antenato del XIX secolo: aspettative di vita limitate a poco più di cinquant’anni, niente mass-media, telefoni, innovazioni scientifiche, mediche, tecnologiche. Si stava davvero meglio allora? Certamente avere nuovi orizzonti presuppone l’avvento di nuovi problemi, ma anche di nuove opportunità: l’aspettativa di vita che oggi supera gli ottant’anni, una cosa estremamente positiva che comunque nasconde delle criticità. Se si ha la fortuna di vivere oltre quell’età con buona salute e buone risorse è un bene, ma se si vive ad esempio con buona salute, ma senza risorse non è la stessa cosa.

Per rimanere in buona salute possiamo condurre una vita il più possibile salutare, ma la nostra possibilità si riduce a questo; per quanto riguarda le risorse invece è possibile fare molto di più. La settimana scorsa rileggevo sull’inserto di economia de Il Giornale l’intervista ad Annamaria Lusardi, presidentessa del comitato EDUFIN, dal titolo “Italiani bocciati in Finanza: va insegnata alle elementari” e su Il Sole 24 Ore un altro articolo in cui si diceva che gli immobili, gioia e delizia degli Italiani, hanno avuto rendimenti reali negativi per il 6,1% all’anno negli ultimi anni. Huston, abbiamo un problema, dicevano sull’Apollo 13: se gli Italiani vivono di più, le case rendono meno. Non si pianifica perché siamo stati abituati allo Stato che ci garantiva le pensioni, la certezza dei rendimenti e le garanzie del capitale, ma come dice Lusardi tutte queste certezze non ci sono più e dobbiamo pensarci noi.

Non voglio fare come i catastrofisti che sparano notizie tendenziose solo per il piacere di farlo, ma vorrei fare come i ragazzi dell’Apollo 13 che davanti a un problema hanno trovato la soluzione: e per trovare la soluzione si sono impegnati tutti. 

Ecco perché oggi ti chiedo un impegno: iscriviti al mio webinar del 25 febbraio prossimo e fai iscrivere un tuo amico a cui vuoi bene e insieme diremo come il capo missione di Apollo 13: “Non abbiamo mai perso un astronauta nello spazio e di sicuro non ne perderemo uno mentre io sono qui. Il fallimento non è contemplato!”

PS. Se vuoi approfondire questi e altri temi iscriviti al mio gruppo Facebook e se già sei iscritto invita un tuo amico a farlo. E se vuoi leggere il mio libro “La Finanza dei Pomodori”

CONTATTAMI

La sindrome del boscaiolo

Un giorno un uomo entrò in un bosco. In lontananza si sentivano dei colpi d’ascia: incuriosito, l’uomo si avvicinò e vide un boscaiolo che lavorava senza badare a nessuno. L’uomo notò che, malgrado il boscaiolo picchiasse forte, la pianta era di poco scalfita; disse allora rivolto al boscaiolo: “Perché non affili la lama?” e il boscaiolo rispose: “Non ho tempo, devo tagliare le piante”. 

Spesso e volentieri il nostro atteggiamento verso le cose è simile a quello del boscaiolo: siamo talmente intenti nelle nostre azioni, che non ci fermiamo a riflettere e ad accertarci se ciò che stiamo facendo sia la cosa più corretta o se ci sia la possibilità di fare di meglio. Anche per gli investimenti spesso accade così. Questa storiella mi è tornata in mente l’altro giorno, mentre parlavo con un nuovo cliente. Durante la nostra chiacchierata ho fatto le classiche domande per capire cosa volesse dai suoi soldi e quali fossero i suoi obiettivi; la risposta è stata: “Non so cosa rispondere, io lavoro e accantono: non si sa mai”. 

Non pianificare i propri investimenti equivale a menare colpi d’ascia senza fermarci ad affilare la lama: la resa dell’ascia dopo un’affilatura diventa sicuramente migliore, come diventerà migliore il risultato dei nostri investimenti se questi sono ben finalizzati. Facciamo un esempio, così forse davanti a dei numeri capiamo meglio quello che voglio dire. 

Prendiamo tre ragazzi di vent’anni, Qui, Quo, e Qua. Il primo, Qui, accantona 100,00 € al mese sul conto corrente per quarant’anni; alla fine del periodo avrà nominalmente 48.000,00 €, dico nominalmente perché non tengo conto dell’inflazione. 

Il secondo, Quo, decide di accantonare 100,00 € al mese nello stesso strumento che ha usato sino ad ora suo padre e che avrà una resa a scadenza del 3 per cento annuo, perché non si sa mai; alla fine del periodo di quarant’anni avrà 91.945,20 €, sicuramente un ottimo risultato e certamente migliore di quello ottenuto dal suo coetaneo che non si era neanche preso la briga di vedere delle alternative al conto corrente. 

Il terzo, Qua, decide di investire in un fondo pensione per garantirsi un’integrazione alla propria pensione, perché si è informato e ha capito che sicuramente avrà dall’INPS un assegno di molto inferiore al suo stipendio quando andrà in pensione; Qua decide pertanto di investire 100,00 € in un fondo pensione, che guarda caso avrà lo stesso rendimento nominale del 3 per cento come è successo a Quo, per cui alla fine avrà un capitale di € 91.945,20 €. Qua inoltre avrà usufruito del risparmio fiscale. 

Mettiamo il caso che nella sua vita Qua non migliori la sua situazione lavorativa e abbia un’aliquota fiscale del 23 per cento: vuol dire che ogni anno facendo il 730 avrà sulla busta di luglio 276,00 €, che sono appunto il 23 per cento dei 1.200,00 € annui versati da Qua, per un totale nei 40 anni di 11.040,00 €. Alla scadenza avrà una tassazione sui soldi che ha portato in deduzione di 4.320,00 €, con un guadagno fiscale di ulteriori 6.720,00€. 

La domanda che sorge spontanea è: “Se Qua dovesse aumentare il suo reddito, cosa potrebbe succedere?” Sicuramente Quo e Qua hanno affilato la lama alla loro ascia: hanno in modo diverso pianificato il futuro. Di certo Qua l’ha fatto meglio e ha ottenuto di più: infatti, pur avendo lo stesso capitale di Quo, ha il plus della fiscalità.

A volte fermarsi a riflettere può essere importante: ti esorto a farlo il 25 febbraio prossimo, quando terrò un webinar sui perché della Previdenza. Ci saranno tanti esempi e che tu abbia venti o cinquant’anni non importa, perché c’è sempre un motivo per pensare alla propria pensione.

Puoi decidere se menare l’ascia nei tuoi anni di lavoro, senza badare se è affilata, oppure affilarla e – cosa ancora più importante – ogni tanto controllarne il filo.

PS. Se vuoi approfondire questi e altri temi iscriviti al mio gruppo Facebook e se già sei iscritto invita un tuo amico a farlo. E se vuoi leggere il mio libro “La Finanza dei Pomodori”

CONTATTAMI

Meglio un TFR oggi o una pensione felice domani?

Cock and the Egg

Il TFR o Trattamento di Fine Rapporto è un diritto del lavoratore e quella somma, pari a circa il 6,91 per cento del reddito lordo, gli viene retrocessa alla fine del rapporto di collaborazione con l’azienda, perché questi cambi datore di lavoro o cessi l’attività lavorativa, ed è regolato dall’articolo 2120 del Codice Civile. Il Decreto Maroni del 2005 ha permesso ai lavoratori di scegliere dove indirizzare il proprio trattamento di fine rapporto: in buona sostanza al lavoratore sono date tre scelte, contro le due che aveva in precedenza. Dal 1º gennaio 2007, cioè da quando il decreto è diventato operativo, i lavoratori hanno la possibilità di lasciare il TFR in azienda, versarlo nei fondi di categoria oppure versarlo in strumenti di previdenza individuale.

Nella scelta da fare bisogna tener conto di alcune variabili: la prima è la tassazione, perché lasciare il TFR in azienda può rappresentare una sorta di harakiri per il lavoratore: presuppone una tassazione con aliquote che vanno dal 23 per cento in su. Con le altre due scelte invece la tassazione massima è del 15 percento, quindi banalmente guadagno da 800,00 € in su ogni 10.000,00 € di liquidazione a cui ho diritto, cioè sarò tassato di massimo 1.500,00 € contro 2.300,00 €.

La seconda variabile non meno importante è il fatto che il TFR versato in un fondo non risente di nessuna crisi aziendale. Molte aziende hanno dichiarato fallimento durante la pandemia: i lavoratori che hanno il loro TFR in un fondo dormono – come si suol dire – tra due guanciali, gli altri invece dovranno aspettare la conclusione del concordato per arrivare a vedere il loro denaro. Siamo tutti convinti che la nostra azienda non fallirà, lo era anche un mio cliente quando, nel 2002, gli proposi di spostare il TFR come aveva fatto il suo collega; quando nel 2008 l’azienda fallì, si accorse di aver sbagliato; il suo collega cambiò azienda e il suo TFR non risentì di nulla, cambiò solo chi effettuava il versamento; il mio cliente invece aspettò sino al 2014 per vedere il suo TFR.

La terza variabile non indifferente è la possibilità di scegliere la linea d’investimento nella quale accantonare il proprio TFR: un ragazzo giovane può scegliere una linea aggressiva, il tempo lavora per lui, salvo poi abbassare l’asticella una volta in prossimità del traguardo pensionistico.

A onor del vero dobbiamo considerare anche il fatto che, se metto il mio denaro in un fondo, potrò averlo solo quando andrò in pensione, salvo che per i casi previsti dalla legge. Questo, a detta di molti addetti ai lavori, è uno degli ostacoli maggiori per chi vuole investire in previdenza: una corretta pianificazione degli investimenti ci porterà a liberare risorse e ad avere risultato migliori per le nostre finanze.

Come sempre quando parliamo di investimenti, dobbiamo sempre tener conto di una variabile importante: le emozioni. Eccole che tornano, come le arabe fenici risorgono dalle loro ceneri. Le emozioni sono le peggiori nemiche degli investitori: non fare una scelta previdenziale sull’onda di un’emozione può fare la differenza tra avere e non avere un tenore di vita in linea con le proprie aspettative una volta che si arriva alla pensione.

L’emozione ricorrente che porta a non considerare gli investimenti previdenziali è il senso di abbandono: pensare di lasciare quarant’anni il TFR investito è come pensare di abbandonare un vecchio amico che non si potrà rivedere se non a distanza di anni; se il mio amico però andasse a star bene e quando lo rivedrò farà star bene anche me forse lo lascerei con minor timore.

A questi e ad altri dubbi risponderò nel Webinar del prossimo 25 febbraio prossimo: fai click sul pulsante qui sotto e iscriviti!

PS. Se vuoi approfondire questi e altri temi iscriviti al mio gruppo Facebook e se già sei iscritto invita un tuo amico a farlo. E se vuoi leggere il mio libro “La Finanza dei Pomodori”

Iscriviti al webinar

Pensare alla pensione? Non è mai troppo presto

Con l’avvento dell’anno nuovo, abbiamo parlato di buoni propositi: il mio era quello di continuare a formare i miei clienti. Oggi ripartiamo così da quello che mi avete suggerito maggiormente nel questionario che vi avevo proposto qualche tempo fa: La Previdenza.

Anche questo Governo, come gli altri che l’hanno preceduto, ha toccato recentemente l’argomento pensioni, apportando delle correzioni alle regole prima in vigore. Ogni nuova variazione evidenzia come il sistema previdenziale italiano non nutra di buona salute. Mi chiedo da tempo come mai- malgrado sia comunemente risaputo che, una volta in pensione, nessuno di noi avrà molto di che gioire – la previdenza complementare non prenda piede come di fatto sarebbe naturale succedesse. 

È probabile che le ragioni siano molteplici: alcune di queste derivano direttamente da comportamenti tipici degli esseri umani, specialmente a fronte delle caratteristiche della società in cui stiamo vivendo. Daniel Kahneman, psicologo e premio Nobel per l’Economia nel 2002, ha introdotto il concetto di bias cioè delle alterazioni comportamentali dettate da esperienze pregresse, ambiente e credenze. Anche l’approccio alla Previdenza sottostà a queste alterazioni. Alcune ricerche hanno evidenziato che gli Italiani sono coscienti che lo Stato non garantirà loro una pensione adeguata, malgrado questo però non prendono la decisione di aderire a una previdenza complementare.

Un investimento che garantisce un minimo dell’8 per cento di guadagno, che tassa i guadagni meno degli altri investimenti, che può essere trasferito agli eredi, è un investimento che può interessare? Posto in questi termini la risposta non può che essere che sì.  Tutto questo è molto razionale, ma come sempre dobbiamo fare i conti con le nostre emozioni. Mio padre ha preso la pensione, mio nonno ha avuto una pensione, perché non dovrei averla anch’io? Da un punto di vista razionale, noi sappiamo che non sarà cosi, ma emotivamente non lo accettiamo: la colpa è da attribuire alle nostre esperienze pregresse. Abbiamo visto le persone che ci hanno preceduto prendere la pensione e ci ancoriamo alla convinzione che questo sarà possibile anche per noi: un alibi a cui ci aggrappiamo per non essere colti dall’ansia.

A vent’anni si pensa sia troppo presto per pensare alla previdenza, a trent’anni si pensa di avere ancora molto tempo per pensare alla pensione, a quaranta si comincia a pensare che è forse è davvero ora, a cinquanta che alla fine siamo ancora in tempo… Cominciamo a pensarci davvero a sessanta, quando ormai è tardi, e a sessantacinque arrivano i rimpianti. Questo è quello chepurtroppo succede, ma sono tutti alibi per non prendere una decisione difficile, perché come sempre cambiare è faticoso.

A vent’anni invece possiamo sfruttare il tempo: abbiamo molti anni per accantonare e per effetto di tempo e capitalizzazione il risultato è assicurato; a trent’anni abbiamo sempre tempo e qualche soldo in più, se non altro perché è più facile che si abbia un lavoro; a quarant’anni il tempo è meno, ma le risorse probabilmente di più; a cinquant’anni il tempo è scarso, ma presumibilmente risorse e possibilità di risparmio fiscale sono più alte; a sessanta il tempo è poco, ma la fiscalità è sicuramente amica.

Tutti gli alibi, insomma, possono essere smontati razionalmente, ma non emotivamente. Cos’è davvero che ci frena, il fatto che a vent’anni è troppo presto per pensare a quando saremo in pensione o il fatto che non potremo usare il denaro accantonato prima di molti anni?

Di questo e di molto altro parlerò nel Webinar sulla Previdenza del prossimo 25 febbraio.

Se hai vent’anni scoprirai perché rimandare equivale a un suicidio finanziario, se ne hai quarantaperché hai ancora tempo, anche se dovrai fare un po’ più di sforzo, se ne hai sessanta che puoiaiutare i tuoi nipoti ad avere una buona integrazione della pensione e magari avere anche un risparmio fiscale.

Non perdere tempo: iscriviti al webinar e invita un amico a farlo, lo aiuteremo a superare i suoi alibi…

PS. Se vuoi approfondire questi e altri temi iscriviti al mio gruppo Facebook e se già sei iscrittoinvita un tuo amico a farlo. E se vuoi leggere il mio libro “La Finanza dei Pomodori”

Notizie belle e notizie brutte

Smiling Sphere Balloon in the middle of grey crowd. ( 3d render )

Il grande illusionista è colui che, mentre sposta la nostra attenzione sulla mano destra, con la mano sinistra crea l’illusione che ci farà restare con la bocca aperta. Sui mercati finanziari a volte succede la stessa cosa: mentre siamo intenti su una notizia, dall’altra parte qualcuno ci ha apparecchiato l’inganno. 

Prendiamo ad esempio la notizia della stretta monetaria e del possibile rialzo dei tassi da parte delle Banche Centrali che ha echeggiato durante questa settimana, facendo correggere i mercati. L’investitore poco avveduto oppure poco informato corre a vendere oppure si spaventa: cosa che fa gioco a chi vuol fare speculazione, e che cavalca e fa risuonare in modo pesante la notizia con lo scopo di trovare investitori che si intimoriscono e vendono.

Andiamo in profondità alla notizia. Il fatto che le Banche Centrali diminuiscano la liquidità sul mercato o alzino i tassi che notizia è? Molto semplicemente le banche ritengono che l’economia vada abbastanza bene per cui non ha bisogno di ulteriori incentivi: questa è una notizia buona o cattiva? Se l’economia va bene, la notizia può sicuramente ritenersi positiva. Analizziamo ancora di più e chiediamoci: perché le Banche Centrali immettono liquidità e abbassano i tassi? Quando l’economia non va bene, le banche fanno di tutto per dare incentivi che possano permettere alle aziende di crescere: abbassano i tassi, questo significa cioè che il denaro costa meno. 

Facciamo un esempio. L’azienda A ha bisogno di un milione di euro per creare una nuova linea produttiva che le permetterà di crescere, di assumere nuovo personale e di soddisfare anche l’azionista; se il costo del denaro (cioè il tasso a cui l’azienda paga per il prestito) è il 5 per cento, l’azienda pagherà 50.000,00 € di interessi; se il tasso è il 2 per cento il costo sarà di 20.000,00 €: denaro che l’azienda può investire altrove. Quindi se la Banca Centrale vede che l’economia zoppica, abbassa il costo del denaro per permettere alle aziende di avere prestiti a basso costo; se vede invece che l’economia cresce, alza i tassi per evitare ad esempio un eccessivo indebitamento delle imprese. 

Il Maestro Oogway in Kung Fu Panda diceva: esistono solo le notizie, non sono né belle né brutte. Anche in Finanza vale la stessa cosa. Come ripeto sempre, se abbiamo un obiettivo ben chiaro e una visione limpida di dove vogliamo andare, le notizie che influenzano un giorno, un mese, non ci devono toccare. Viceversa conoscere dove presumibilmente andrà il mondo nel lungo periodo potrebbe essere fondamentale.

Una delle cose, forse la più importante, che mi pongo come obiettivo con i miei clienti è quella di formarli e di renderli consapevoli di quello che fanno. Non pretendo che diventino dei nerd della Finanza, ma almeno che sappiano a grandi linee cosa si fa. Quando andiamo a scuola guida non ci insegnano a cambiare lo spinterogeno o a resettare la centralina elettronica, ma a guidare e a sapere che il motore va acceso, che bisogna fare benzina e così via. Allo stesso modo anche in Finanza devo sapere come si guida, avere cioè ben chiari obiettivi e visione, mentre per quanto riguarda il motore devo lasciare che sia qualcun altro a resettare la centralina.

PS. Se vuoi approfondire questi e altri temi iscriviti al mio gruppo Facebook e se già sei iscritto invita un tuo amico a farlo. E se vuoi leggere il mio libro “La Finanza dei Pomodori”

La Finanza dei Pomodori

Ho scritto un libro. Si tratta di una raccolta di aneddoti legati soprattutto alla mia infanziapassata a osservare il lavoro di mio padre e di mio nonno, entrambi contadini. Questo libro, che nasce dalla considerazione che il mondo contadino e il mondo della finanza non siano poi così distanti, a dicembre è stato pubblicato per EC Edizioni Biella. La prima volta che l’ho detto a qualcuno, quasi non mi sembrava possibile potesse essere vero.

Quando ho cominciato a scrivere “La Finanza dei Pomodori”, l’idea che mi ha guidato nella sua stesura è stata quella che gli uomini sono uomini e che le emozioni, le abitudini e i valori sono sempre gli stessi, per tutti noi. Non ho mai visto differenze tra lo scegliere un viaggio, un investimento, una casa: tutto ciò che scegliamo, lo scegliamo molto spesso in base alle emozioni prima che con la razionalità.

La Finanza ai più di noi sembra una cosa astrusa: ne è la riprova il fatto che il popolo italiano è tra i meno acculturati dal punto di vista finanziario. Mi sono sempre chiesto se la colpa non fosse anche di chi fa la mia professione, ecco perché ho sempre usato l’espressione “Parla di Finanza come mangi”: smettiamola cioè di fare i fenomeni e iniziamo a utilizzare un linguaggio che tutti possano comprendere. Lo diceva sempre anche mio padre, ed è così che ho voluto scrivere questo libro, in maniera semplice e comprensibile per tutti. 

Bisogna comunque ricordare che semplice non vuol dir banale. Ho sempre pensato che sapere una cosa, ma non saperla trasmettere agli altri è come non saperla e che anche le cose più difficili possono essere trasferite in maniera semplice. Il mio professore di italiano delle scuole superiori, al secolo Cecilio Scalabrini, camminava per la nostra aula con i suoi calzoni di velluto sostenuti da una corda, la sua camicia a scacchi e le sue dita gialle di nicotina. Ci declamava la Divina Commedia, che sapeva a memoria, e ce la spiegava come un amico che racconta della sua gita al mare e lo fa talmente bene, ma talmente bene, che ti sembra di essere stato in gita assieme a lui. Io grazie a lui mi vedevo al fianco di Dante procedere nei gironi. La spiegazione del Prof. Scalabrini era così semplice, così coinvolgente, che anche la Divina Commedia diventava facile da comprendere e da ricordare. 

Parlare in modo troppo complicato allontana le persone. Un medico è bravo non solo perché riconosce la malattia dai sintomi, ma anche perché riesce a spiegare le cose in modo semplice ai propri pazienti, in modo che essi possano comprendere la malattia e anche la cura. La semplicità è una dote tipica del mondo contadino: perché usare venti parole quando ne bastano tre? “La terra l’è basa” è una frase semplice, ma su questa frase sola si potrebbe scrivere un altro libro. Sentire che “la terra è bassa” ci fa immaginare tutto: un uomo curvo dopo aver lavorato tutto il giorno nell’orto, il movimento via via più faticoso che deve fare per raccogliere i frutti della terra, l’ineluttabilità dell’ovvio e insieme il sudore della fronte, perché per raggiungere la terra un uomo si deve sempre piegare verso il basso.

I contadini hanno le stesse reazioni degli investitori. Una grandinata è paragonabile a un calo di mercato: entrambi generano paura. Allora perché non cercare di capire come ha fatto il contadino a essere meno ansioso per rendere meno ansioso anche l’investitore? Un contadino mette la rete antigrandine, l’investitore diversifica: in entrambi i casi il raccolto potrà subire dei danni, ma non andrà completamente perduto. Il contadino poco avveduto continua a fare quello che ha sempre fatto e perde occasioni di migliorare il raccolto: le tradizioni vanno rispettate, ma si deve vivere il presente e fare i giusti cambiamenti. L’investitore poco avveduto continua a investire dove ha sempre investito e non si accorge che il mondo sta cambiando perdendo così occasioni.

Un’altra caratteristica del mondo contadino è il rispetto: per i valori, che sono gli stessi che mio nonno e mio padre mi hanno trasmesso, per le persone che ci circondano e per tutto ciò che ci viene donato dalla vita. Nella mia vita professionale ho sempre tenuto presente questi insegnamenti: perché poco importa che si tratti del mondo contadino o del mondo degli affari, bisogna sempre trattare gli altri come vorresti essere trattato, con rispetto e onestà. 

Bisogna fare il proprio lavoro nel migliore dei modi e con correttezza: “Se entro in un bosco appena pulito e camminando un ramo mi fa cadere il cappello chi ha fatto il lavoro non l’ha fatto bene”, soleva dire mio nonno, perché all’epoca i boschi erano sempre puliti, le foglie erano raccolte per le bestie e i rami tagliati per permettere il passaggio nel sentiero.  Se un investitore riesce a gestire bene le sue emozioni grazie a ciò che gli trasmetto, ho fatto bene il mio lavoro e ho fatto il bene del mio cliente.

Buona lettura!

PS. Se vuoi approfondire questi e altri temi iscriviti al mio gruppo Facebook e se già sei iscritto invita un tuo amico a farlo. E se vuoi leggere il mio libro “La Finanza dei Pomodori”

CONTATTAMI