Fa più rumore una foglia che cade, che una pianta che cresce

“Signor Rota, buongiorno! Al telegiornale si sentono un sacco di cose e mia moglie stufa di sentirmi preoccupato mi ha detto di chiamarla. Sarà come nel 2008, perché i mercati sono saliti molto? Poi la deglobalizzazione… Sembra si stia tornando ai vecchi blocchi”. Questo il sunto di una chiamata, tra le molte ricevute nel corso di questa ultima settimana. La cosa che mi ha incuriosito è che questa raccoglieva concetti espressi anche da altri.Quando arrivano molte informazioni, diventa sempre più difficile decodificarle: è uno dei bias comportamentali, more information”, di cui in passato ho già parlato.

Torniamo alla nostra telefonata. Dal punto di vista – diciamo così – giornalistico, esprimersi evocando il 2008 ha senso, perché le notizie devono toccare la pancia di chi ascolta o legge. Dal punto di vista tecnico-finanziario, invece, non ha nessun senso: le due correzioni hanno matrici completamente diverse. Quella attuale è figlia di una guerra, di un’inflazione molto alta e di prezzi delle materie prime alle stelle (e di questo infatti abbiamo già discusso in altri articoli). La matrice del 2008, finanziariamente parlando, era molto più complessa perché era una crisi di sistema: ci trovavamo di fronte alla “finanza di carta”, cioè all’uso smodato di derivati che era alla base di quella correzione. Allora avrebbe potuto, come dire, far saltare il banco, ma ne siamo usciti, e il resto è storia. La situazione odierna è viva e attuale e quindi, va da sé, fa un po’ più male. Il parallelismo fatto dal mio interlocutore nel corso della telefonata (“scenderà, perché i mercati sono saliti molto”) non ha nessuna logica: non esiste infatti nessuna correlazione tra l’essere salito molto e la presunta conseguente discesa; il modo in cui si comunicano le cose, invece, può davvero fare la differenza

Passiamo invece al discorso sulla deglobalizzazione: al netto della parola, che comunque personalmente non mi piace, possiamo dire che vuol dire tutto e non vuol dire niente. La globalizzazione economica, secondo il mio parere, non può essere cancellata in un amen, anche perché ormai l’interconnessione è altissima. Un esempio? Apple compra i semiconduttori non più nella Silicon Valley di San Francisco, ma a Taiwan. Vi immaginate dover fermare la produzione di iPhone, sino a quando la Silicon Valley non sarà in grado di fornire tutti i microchip necessari alla ditta di Cupertino? Come sempre, quando succede qualcosa, si evocano situazioni diverse che conosciamo. Un esempio? Quante volte, quando il debito pubblico italiano si fa vedere come uno spauracchio, si torna a parlare di Lira e svalutazione della moneta? La situazione concettualmente è la stessa: cercare un posto che conosco e contrapporlo alla situazione nuova; anche in questo caso comunicazione alla pancia e non al cervello. 

Discorso diverso, in termini di deglobalizzazione, potrebbe essere fatto per quanto riguarda l’energia, ma qui userei di più il concetto di uscita da un monopolio: se c’è una cosa che abbiamo imparato in questo periodo, è che siamo troppo dipendenti come Europa – e in particolar modo come Italia – dal colosso russo. Lo staccarsi da questa dipendenza lo ritengo un processo lecito e doveroso. Si parla di energia rinnovabile, di nucleare di quarta generazione e di molto altro.

Da un po’ di tempo sto studiando quelle che sono le logiche energetiche, argomento che affronterò anche nel seminario del prossimo 6 luglio (ISCRIVITI QUI). Sono convinto che eolico e solare potranno darci una mano, ma che dovremo seriamente prendere in considerazione un ambito in cui siamo rimasti al palo per paura dei pericoli: il nucleare. Con il nucleare di quarta generazione, i benefici sono maggiori dei rischi.

Le informazioni sono quindi molte e devono parlare alla pancia, ma devono essere decodificate nel giusto modo per evitare errori tattici: fa più rumore una foglia che cade, che una pianta che cresce. Come dicevo, il problema non è se possiamo uscirne, ma quando. Tra cinque o sei anni al massimo anche questa correzione sarà Storia.

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La fretta e gli investimenti non sono amici

L’altro giorno, come mi capita spesso, parlavo con una persona appena incontrata di strategie, investimenti e quant’altro, quando all’improvviso mi ha apostrofato con questa domanda: “Perché dovrei investire a lungo termine per guadagnare, quando ho un vicino di casa che investe tramite un suo contatto in Germania e riesce a ricavare senza grandi investimenti fino a 6.000,00 € al mese?”. A un quesito del genere non ho potuto che rispondere: “In effetti qualche traffico illecito è redditizio!” e anche “Un bel sistema Ponzi potrebbe essere l’alternativa”. 

Così, dopo aver spiegato al mio interlocutore cos’è un Sistema Ponzi, ho cercato di capire cosa ci fosse effettivamente dietro alla sua domanda. Ho scoperto che quello che sta succedendo nel mondo lo spaventa, che ha visto il suo capitale decrescere: non si aspettava la correzione dei fondi obbligazionari e dei BTP, e questi cali lo hanno indotto in tentazione. La voglia di recuperare in fretta le correzioni lo stava portando a fare scelte sbagliate. Non possiamo razionalmente pensare di avere rendimenti del 120 per cento in un anno investendo in strumenti che non hanno al loro interno rischi ingenti di capitale, ma il solo sentir parlare di certe cifre ci fa venire l’acquolina in bocca. A bocce ferme sembra impossibile che una persona caschi in una cosa del genere, ma abbiamo visto fior di personaggi finire in simili tranelli. Persino l’allenatore di calcio Antonio Conte, ad esempio, qualche anno fa è stato vittima di una truffa in stile Ponzi.

Una volta portato a più miti consigli, spiego al mio interlocutore che la fretta è una cattiva consigliera: persino il campione olimpico dei 100 metri, se ha fretta di partire, rischia la squalifica. Come sempre dietro alle nostre scelte ci sono emozioni che ci portano a decisioni di pancia e non di testa: la linea tendenziale data dal panico che ci poniamo in testa ci annebbia la mente. Un cliente l’altro giorno mi chiedeva se, nel caso la guerra continuasse, prima o poi arriveremo a zero: la risposta è chiaramente no, perché solo nel caso della fine del mondo i mercati andrebbero a zero, ma allora ci sarebbero ben altri problemi.

Il presidente della CONSOB Paolo Savona ha recentemente affermato che bisogna creare dei portafogli che permettano ai risparmiatori di proteggersi dai rischi di inflazione e quello che proponeva era di indirizzare il risparmio verso la parte produttiva del Paese, cioè il mercato azionario. La riflessione di Savona è sicuramente corretta, ma presuppone la possibilità di avere investitori pronti ad affrontare le turbolenze: molti oggi invece preferiscono stare fermi, piuttosto che entrare sul mercato. Questo atteggiamento è certamente sbagliato perché – pur non potendo sapere, per ovvie ragioni, quando sarà il picco di minima – è lecito aspettarsi una ripresa del mercato nel medio periodo.

Tutti questi argomenti sembrano slegati tra loro: Ponzi, la fretta, le emozioni, la linea tendenziale e le affermazioni del presidente CONSOB… Questo però è quello che l’investitore italiano deve subire tutti i giorni: i mezzi d’informazione un giorno esaltano una cosa e il giorno successivo la demonizzano, come se nel volgere di ventiquattr’ore il mondo si ribaltasse sotto sopra. Tutte le mattine, leggendo le notizie di finanza, mi imbatto continuamente in queste contraddizioni. Allora come può un investitore difendersi da tutto quello che succede?

La pianificazione è la chiave di lettura per rispondere a tutto questo. Luciano Scirè, con il suo Goal Based Investing, ci insegna che investire attraverso quelli che sono definiti “cassetti mentali” ci permette di vivere serenamente, o per lo meno con meno angoscia, le correzioni di mercato, perché i risparmi hanno una logica, una collocazione razionale; non smetto di sognare che mio figlio di due anni un giorno andrà all’università: se oggi sale l’inflazione, probabilmente nel suo primo giorno di ateneo nessuno gli ricorderà l’inflazione al 7 per cento.

Tutto questo non è facile: anche ieri ho incontrato un potenziale cliente e lo scoglio più grande è capire orizzonti temporali e obiettivi. È una strada lunga, quella dell’educazione all’investimento per obiettivi, ma è anche l’unica strada per trasformare i risparmiatori italiani in investitori; e, visto che i numeri non mentono, aumentare in benessere, perché l’investitore evoluto ha maggior benessere di uno non evoluto. 

Non perdere il mio prossimo seminario sulla Sostenibilità: è un tassello per la tua conoscenza e quindi anche per il tuo futuro benessere.

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Muri o mulini?

“Quando soffia il vento del cambiamento, alcuni costruiscono muri, altri costruiscono mulini a vento”. 

Quando l’altro giorno ho risentito questo proverbio cinese avevo sulla mia scrivania un grafico, di cui ho anche parlato in un video poco tempo fa, in cui si evidenzia una ragione all’anno per non investire con riferimento agli ultimi cinquant’anni. Nel 1973, in piena crisi energetica, c’era chi professava il ritorno al carbone e chi pensava al motore elettrico e alla fusione nucleare; nel 2008, in piena crisi per i Mutui Subprime, c’era chi pensava alla fine del mondo finanziario come lo conoscevamo e una crisi infinita e chi pensava ai rimedi per non incorrere un’altra volta nel problema; nel 1986, quando è successo il disastro di Chernobyl, qualcuno pensava alla fine del nucleare e altri a renderlo sicuro… Potrei fare altri esempi, ma mi fermo qui.

“Oggi è diverso!” Questa è l’affermazione che molti potranno fare. Oggi intanto si sommano guerra, materie prime, inflazione e così via: ogni volta è diverso, ma ogni volta gli esseri umani trovano una soluzione. Un esempio su tutti? Dal 2000 al 2003 nell’ordine; Dat-com, Torri Gemelle, scandali contabili e Guerra in Iraq, manca il carico di briscola e abbiamo tutto: eppure nei cinque anni successivi abbiamo assistito a una grande crescita. Allora, anziché innalzare muri, costruiamo mulini a vento e cominciamo a chiederci dove andrà questo mondo: perché da qualche parte andrà. Come dice Steven Pinker nel suo saggio “Illuminismo adesso” sono le persone illuminate, cioè quelle che non pensano a complotti o cose di questo genere, che hanno cambiato il mondo: vi consiglio di leggerlo.

In tutti questi cambiamenti possiamo trovare settori, aree e strumenti su cui puntare. I primi due settori che mi vengono in mente sono la sicurezza informatica e l’energia pulita: non possiamo più pensare di essere in balia di hacker che possono minacciare il nostro sistema operativo o che possano tenere in scacco i dati delle persone; domande come: “Ma gli hacker possono azzerarci i conti?” sono sicuramente frutto di una propaganda non illuminata, ma di chi vuole speculare. La chiusura delle forniture di gas e petrolio dalla Russia ci ha fatto invece capire che dobbiamo cercare energie alternative ed ecologiche: magari una bella centrale di quarta generazione? Perché dobbiamo guardare avanti e non indietro. La paura attanaglia e non fa crescere.

La Cina oggi sta applicando una restrizione netta per portare a zero i contagi covid: “Così distrugge la propria economia”, si dice. Le scelte cinesi alla fine si sono sempre però rivelate vincenti. Mentre chiude per COVID investe in formazione, puntando così a diventare non più la fabbrica del mondo, ma una fucina di idee. Il mondo sta cambiando e noi non ce ne accorgiamo: la Cina è già la prima economia e crescerà ancora, quindi è in questo momento un’occasione di investimento. Per assurdo anche l’Italia potrebbe esserlo se solo usassimo correttamente il PNRR, che molto assomiglia a un Piano Marshall (anche lui un illuminato che ha visto oltre).

Il mercato si riprenderà? Questa domanda me l’hanno fatta anche l’altro giorno. La domanda vera da porre è non se il mercato si riprenderà, ma quando. A questa domanda chiaramente non posso dare una risposta, ma so, perché la storia ce lo insegna, che tanto più sono violente le correzioni e tanto più veloci, tanto sarà rapida la ripresa. Un esempio su tutti: a metà ottobre 2001 Milano Finanza intitolava “Wall Street batte Bin Laden”. A caduta violenta corrisponde una altrettanto violenta ripresa.

Come dicevo non è dato di sapere quando ripartirà il mercato: oggi mentre scrivo il mercato ha fatto un balzo in avanti, potrebbe essere il primo giorno di ripresa come un giorno interlocutorio, ma una certezza l’abbiamo. Il prossimo picco di Borsa sarà più alto del precedente. Nel frattempo cerchiamo di non farci trovare impreparati: magari un bel piano d’accumulo piuttosto che degli aggiuntivi o dei ribilanciamenti… ma solo se non ho pianificato correttamente o se ho liquidità, perché chi ha pianificato correttamente deve solo pazientare. Costruiamo mulini a vento per lasciare ai nostri figli e nipoti un mondo migliore e per far questo investiamo nel futuro.

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Dividendi, l’araba fenice della Finanza

A volte nel mondo finanziario si presentano situazioni che, come l’araba fenice, riemergono dalle loro stesse ceneri. Sulla stampa specializzata, infatti, si ritorna a parlare di dividendi, e in special modo di quelli americani a cui qualcuno aveva fatto il funerale non molto tempo fa. I dividendi rappresentano quella parte di denaro che le aziende, una volta chiuso il bilancio, decidono di ridistribuire come “premio” per le azioni possedute. I dividendi sono tipici di imprese strutturate, un po’ come dire old economy, e pertanto erano stati dichiarati finiti sull’onda del nuovo che avanza. Le nuove aziende tecnologiche, infatti, non sono molto avvezze ai dividendi, ma preferiscono una crescita del valore senza ridistribuire gli utili.  

Gli Italiani da sempre hanno puntato a un introito attraverso la cedola dei BTP, che hanno dato loro rendimenti spesso interessanti, per avere liquidità da spendere ricavata dai loro investimenti. Acquistare titoli di Stato – come ripeto spesso – vuol dire però investire in un debito, mentre diverso è investire in un mercato azionario. Ancora oggi che i rendimenti sui titoli di Stato sono molto bassi, i risparmiatori non rivolgono il loro interesse verso coloro che generano ricchezza e lavoro, cioè i mercati delle imprese. C’è un fenomeno che mi fa sorridere: da una parte gli Italiani acquistano obbligazioni, per la cedola e per non “rischiare il capitale” con l’azionario, e dall’altra strizzano l’occhio alle Criptovalute, che hanno avuto dalla loro nascita (2008) ben tre cali dell’80 per cento. Immaginate di aver investito 100.000,00 € e trovarvene 20.000,00 €… Come sempre un po’ di adrenalina tiene vivi.

Torniamo ai nostri dividendi: un giardinetto – termine romantico per definire un dossier con un certo numero di azioni, di titoli con dividendo – paga percentualmente di più di un BTP e oscilla meno di una Criptovaluta. Come sempre non dobbiamo prendere e invertire completamente la rotta: niente testa coda con tanto di freno a mano anni ’80, ma una parte di portafoglio potrebbe essere inserita in una logica di questo genere.

Ma questo mi vuol dire di investire in azioni? Come sempre le mie comunicazioni non sono bianco o nero, oppure compra A piuttosto che B, ma vogliono stimolare riflessioni. Avere oggi titoli che rendono lo zero virgola per paura delle oscillazioni può essere integrato: un bel 50 e 50, ad esempio, con un po’ di titoli a cedola per avere una cedola da dividendo più alta. Il prezzo da pagare è avere un po’ di oscillazioni.

Anche questa è Educazione Finanziaria. L’altro giorno ho trascorso due ore a spiegare la bontà o meno di investire in un titolo con cedola al 20 per cento. Sì, non ho bevuto: chi non vorrebbe una cedola così? Purtroppo dobbiamo sempre vedere pro e contro di un’operazione. Se un rendimento così alto si porta dietro il fatto di investire in Turchia in lire turche, forse il 20 per cento mi sembra meno appetibile: rischio, cambio e via discorrendo minano la bontà dell’operazione. Da una parte la paura delle oscillazioni mi porta ad accettare bassi rendimenti, dall’altra la voglia di guadagnare mi porta a non vedere altri rischi, ma entrambi sono facce della stessa medaglia: mancanza di cultura finanziaria e mancanza di pianificazione.

Un po’ di BTP, un po’ di azioni con dividendo e un po’ di lire Turche possono anche convivere tra loro, in seno a una pianificazione con accettazione di tutte le variabili dal basso rendimento all’alta volatilità: basta sapere che cosa si fa.

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Il Sestante e i cambi di rotta

“Sergio, il gestore della banca dove ero prima ogni mese e mezzo mi chiamava per cambiare i titoli in portafoglio. Tu invece lo fai meno: perché?” Questa domanda mi è stata posta da un cliente che seguo da circa due anni.

Caro Cliente, ti voglio raccontare del documentario che ho visto poco tempo fa. Parlava della navigazione, e più precisamente di come sono tracciate le rotte e degli strumenti che erano, e ancora oggi sono, usati per navigare. Non sono un marinaio e non entrerò nello specifico, ma vorrei passarti il concetto.

Prima dei satelliti e di tutte le tecnologie moderne, lo strumento principe per la navigazione era il sestante, uno strumento che attraverso la misurazione dell’altezza di un corpo dall’orizzonte e vari angoli tra i pianeti, stelle e così via e vari calcoli matematici, consente di avere una posizione. La lettura del sestante e i calcoli da fare non sono sicuramente tra i più semplici: molto spesso l’uso del sestante era appannaggio del comandante che ne conosceva l’uso e le rotte; poi è apparsa la figura dell’ufficiale di rotta, che è diventato fondamentale nella navigazione. L’ufficiale di rotta ancora oggi ha il compito di tracciare la rotta che la nave deve tenere; durante una navigazione, però, ci possono essere dei momenti in cui è difficile mantenerla: tempeste, venti, correnti… sono tutti elementi che non possono essere controllati, ma che possono portare la nave fuori rotta. In quel caso l’ufficiale addetto individua lo spostamento dalla rotta originaria e, ove necessario, ridisegna una nuova direzione.

Un piano finanziario è un po’ come una rotta. Se voglio andare da A a B, la retta rappresenta sicuramente il percorso più breve, che mi permette di arrivare in minor tempo, ma nello stilare una rotta devo tenere conto dei banchi di sabbia, degli scogli e chi più ne ha più ne metta; allo stesso modo, quando faccio un portafoglio, devo tener conto di esigenze espresse – gli scogli sommersi -, ma anche delle esigenze non espresse direttamente – i banchi di sabbia e gli scogli nascosti.

Voglio passarti un altro concetto. Se ho più navi avrò più rotte: io farò l’armatore e su ognuna di esse ci sarà un capitano addetto alla navigazione. Riportando il tutto alla tua situazione finanziaria, immagina i tuoi investimenti come tante navi: tu sei l’armatore e io l’ufficiale di rotta. Se ti facessi cambiare ogni tot la rotta di tutte le tue navi, capisci che questo vorrebbe dire non aver tracciato una rotta corretta all’inizio; si potrebbe dire “navigare a vista”, si deve intervenire ove necessario quando gli spostamenti dalla rotta sono molto evidenti.

Un’altra cosa che dobbiamo tenere in considerazione è che lavoriamo principalmente con strumenti del risparmio gestito, perciò a capo di ogni tua nave c’è il gestore che, come i capitani delle navi, mantiene la rotta che noi gli abbiamo dato – i tuoi obiettivi – e corregge durante la navigazione.

Un’ultima cosa, guarda il disegno: tu come armatore saresti contento se la rotta fosse la seconda? Credo proprio di no, per due ordini di motivi. Il primo, che per arrivare al tuo traguardo ci metteresti di più; e il secondo, per te qual è? Consumeresti più carburante? Esatto. Ogni cambio di rotta non necessario potrebbe rappresentare un consumo maggior di carburante, e quindi dei costi.

Quindi tu fai l’armatore e il tuo compito più importante è fornirmi tutte le informazioni necessarie per capire dove vuoi andare. Io ti trovo la nave e traccio la rotta. I gestori mantengono la rotta e, quando necessario, io e te interveniamo per correzioni importanti.

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Metterci il cuore

Mi capita sovente di guardare posizioni che i potenziali clienti hanno nelle altre banche. Questa settimana mi è capitato di monitorare tre posizioni dello stesso istituto: ho scoperto che tre clienti, con età e situazioni diverse, avevano tutti e tre gli stessi prodotti. La cosa che mi ha lasciato molto perplesso è che le tre posizioni che ho analizzato erano la prima di un ragazzo di 27 anni e l’ultima di un signore di 78. O i dipendenti di questa banca amano gli stessi fondi, tutti della casa di investimento dell’istituto, oppure… Potrebbe sembrare una coincidenza ma, come dice un noto personaggio di una serie televisiva, le coincidenze non esistono.

Tutto questo mi ha fatto riflettere su due necessità: la prima, dare a tutti gli Italiani un consulente finanziario, che abbia la possibilità di usare tutti gli strumenti del mondo investibile senza vincoli; la seconda, insegnare a tutti gli investitori cosa voglia dire pianificare. Non è possibile che una persona di 27 anni, con ancora tutta la vita davanti, abbia gli stessi investimenti di un uomo di 78 che vuole – parole sue – “capire come far pagare meno tasse ai figli”. Un ragazzo di 27 anni ha esigenze e obiettivi completamente diversi, e quindi di conseguenza ha bisogno anche di strumenti diversi.

Capisco però che lasciare la strada vecchia per la nuova possa essere difficoltoso. A tal proposito voglio riportare una testimonianza di un mio cliente che durante una chiacchierata mi ha detto: 

“Devo dire che, il giorno che ho deciso di lasciare la banca tradizionale per essere seguito da te, avevo mille dubbi: avevo paura di perdere il contatto con il mio denaro, perché la mia banca non era più sotto casa. Durante il periodo iniziale della nostra collaborazione ho tenuto aperti entrambi i rapporti, per avere una via di fuga. Dopo poco tempo mi sono però reso conto che c’era una differenza sostanziale tra come mi tratti tu e come ero trattato nell’altra banca.

Se dovessi evidenziare le differenze più importanti direi:

1. Le domande: mi hai chiesto più tu della mia famiglia nel primo incontro che l’altra banca in vent’anni, e mi rendo conto che ogni volta che ci vediamo mi chiedi direttamente o indirettamente altre informazioni.

2. Le informazioni: leggo regolarmente i tuoi post e i tuoi articoli, mi è anche capitato di chiamarti perché avevo letto una cosa e tu mi hai dato risposte e chiarimenti. Ho apprezzato molto quando facevi i video in piena pandemia, ti ho chiamato e ti ho ringraziato perché mi hai fatto calare l’ansia.

3. Con te mi sento tranquillo: sai dove voglio arrivare e perché risparmio, infatti me lo ricordi tutte le volte, e ogni tanto mi hai anche bacchettato perché mi facevo attrarre dalle sirene, la storia di Ulisse me l’hai ripetuta un sacco di volte! (ride, N.d.S.)

4. Mi hai aiutato anche nella scelta delle assicurazioni, dandomi consigli anche sulla RC auto nonostante tu non ti occupi di queste assicurazioni: quando ho un problema io ti sfrutto, ovviamente in senso buono, perché stimo molto la tua opinione.

5. Oggi mi sento molto più preparato sugli investimenti, e lo devo a te.”

Queste parole mi hanno fatto molto piacere, come mi hanno fatto particolarmente piacere gli auguri di compleanno di una cliente che pochi giorni fa mi ha scritto: “Un augurio sincero ad un uomo che mette il cuore in quello che fa”.

Non penso di essere il più bravo, ma una cosa è sicura: se hai un problema, un dubbio o una necessità io ci sono. E stai certǝ che ci metterò tutto il cuore di cui dispongo.

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Se la Russia chiude il gas, beviamoci una birra

Nel giorno in cui la Russia decide di non rifornire più la Polonia e la Bulgaria di gas mi è stato segnalato un articolo dove si parla di un’industria sarda che sta progettando la produzione di gas attraverso l’utilizzo della parte secca della produzione di birra, nello specifico lo scarto di produzione di birre Pilsen e Weizer. La trebbia di birra, cioè la parte insolubile e non degradata del malto, è trasformata – attraverso appunto un processo di “gassificazione” – in gas che può essere utilizzato per produrre piccole quantità di energia elettrica e calore e una quantità più cospicua di metano e idrogeno. Siamo sicuramente in una fase embrionale della ricerca, che comunque ha incuriosito gli studiosi di tutto il mondo, ma come sempre quando le menti si mettono in moto generano delle idee che nel lungo periodo potrebbero cambiare il mondo, e magari migliorare anche le condizioni climatiche.

L’esempio della società di Carbonia non è il solo che possiamo trovare in Italia. Un esempio per tutti. Una delle società energetiche più importanti, se non la più importante, e cioè ENI già nel 2018 ha aperto a Gela una bioraffineria gestita da ENI Rewind, sfruttando un brevetto del Centro Ricerche per le Energie Rinnovabili e l’Ambiente di Novara. Nello stabilimento di Gela si usa la tecnologia Waste to Fuel e si utilizzano i rifiuti urbani “umidi” (FORSU) per produrre oli combustibili da utilizzare direttamente come carburante – a basso contenuto di zolfo per il trasporto marittimo oppure raffinato per carburanti di maggior qualità.

Sarò probabilmente un inguaribile romantico, ma mi immagino un futuro dove oltre ai raccoglitori di plastica nei supermercati avremo raccoglitori di bucce di mela o scarti di carciofi che saranno usati per creare energia. Anche la tanto vituperata plastica può essere riciclata per produrre nuovi prodotti, energia e calore. La plastica può subire un riciclo meccanico (triturazione) per creare nuovi prodotti (ad esempio i cordoli delle strade o le panchine), termovalorizzazione per recuperare energia e chimica per riportare alla materia prima base.

La raccolta differenziata, che a molte persone sembra solo una incombenza noiosa, può in effetti servire per salvare il Pianeta, abbassare le emissioni, creare energia e – perché no – far rendere i nostri risparmi. Non è la prima volta che sottolineo come la gestione dei rifiuti, siano essi organici o inorganici, possa essere un asset importante dei nostri investimenti: un settore, quello del riciclo, che sta dando lavoro a tante persone e a molte aziende, che vedranno crescere gli utili e le valorizzazioni nei prossimi anni.

Come sempre, il tutto deve essere inserito all’interno del proprio progetto di investimento: comunque è giusto ricercare i trend che caratterizzeranno i prossimi anni, e le aziende che trarranno beneficio da questo mercato. Attenzione però a non commettere gli stessi errori di quegli investitori che, alla fine degli Anni ’90, si sono fatti ingolosire dai titoli tecnologici e hanno deciso di puntare tutto su questi ultimi, subendo poi delle perdite quando il settore ha avuto una contrazione e scappando da esso. In questo modo hanno commesso due errori fondamentali: non diversificare e scappare quando il mercato crolla,.

I rifiuti e le energie rinnovabili sono sicuramente un trend del futuro, ma non è detto che tutte le aziende di questo settore avranno fortuna; anche se molte aziende che hanno vissuto ad esempio la bolla delle dot-com all’inizio del secolo sono sparite, non è sparito il settore. Il Nasdaq, indice dei titoli tecnologici americani, non è andato a zero, ma anzi ha fatto più di quattro volte il suo valore di allora. Ecco perché un approccio di lungo periodo – magari con un piano d’accumulo non su un singolo titolo, ma in un fondo che comprenda molte aziende del settore – può essere una scelta intelligente. Provate a pensare di aver fatto un piano d’accumulo sul Nasdaq nel 2000 e averlo strutturato per gli studi di vostro figlio: probabilmente avreste sopportato senza patemi la possibilità che vostro figlio avesse scelto di fare l’università negli States.

Pensi sia ora di pensare agli studi di tuo figlio/nipote o alla tua vecchiaia? Parliamone davanti a una birra, aumentiamo i nostri guadagni e il nostro spirito e quindi… cin cin!

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Non profili, ma persone

Mi capita a volte che frasi o addirittura interi capitoli di un libro che sto leggendo mi facciano fermare a riflettere a lungo. È successo anche l’altro giorno, mentre stavo rileggendo un libro ambientato nella Barcellona del 1300. Il protagonista, a un certo punto della sua vita, diventa un commerciante e poi un banchiere; mentre leggevo la sua storia, sono emerse delle parole che oggi, a distanza di secoli dall’epoca in cui il libro è ambientato, possono echeggiare ancora: affidabilità, fiducia, cultura e grano. Come dice la seconda legge della termodinamica, nulla si crea, nulla si distrugge, ma tutto si trasforma. Come sempre invece, per la legge dell’attrazione, quando rifletti su di un concetto ti imbatti poi in altre cose che lo confermano o lo confutano. Così anche questa volta, poco dopo averci riflettuto, mi sono imbattuto in un articolo di settore che citava quelle stesse parole.

La Commissione Europea sta studiando un questionario per profilare i clienti, che sia unico per tutti i player del mondo finanziario, cosicché ogni persona sia vista da tutti gli Istituti allo stesso modo. Difatti oggi, a seconda di come sono poste le domande e di come sono elaborati gli algoritmi, si può essere investitori di tipo A o di tipo B. Si tratta di variazioni sicuramente minime, ma che certo possono esistere; e, a meno che io come investitore non risponda due cose diverse, non sarò mai prudente per un Istituto e aggressivo per un altro. La cosa che mi ha colpito è che, nella logica della Commissione, ci sia lo scopo di aumentare la fiducia dei risparmiatori verso il sistema; e, anche se con modalità diverse, la fiducia del 1300 è uguale a quella di oggi. La Commissione Europea sottolinea che il nuovo questionario debba essere usato per aumentare l’affidabilità dei profili dei clienti, cioè che ciò che emerge debba rispecchiare in maniera reale quello che il cliente rappresenta. Affidabilità oggi è un termine inflazionato, ma che può essere esteso a tutti i settori compreso quello della Finanza: una maggiore attendibilità dei profili aiuterà il consulente (e di conseguenza, l’investitore) nelle scelte.

Sempre l’altro giorno ho letto poi un’intervista al Sottosegretario all’Economia Federico Freni, che sottolineava come i consulenti finanziari saranno tra i maggiori alleati dello Stato nell’aiutare il nostro Paese a ottenere i risultati che si prefigge in termini di crescita. Il Sottosegretario evidenziava un dato che purtroppo ritorna spesso: il 76 per cento degli Italiani intervistati dal Rapporto CONSOB 2021 dichiara di risparmiare, ma solo il 12 per cento di avere un piano finanziario e di rispettare il budget. Sempre nello stesso articolo è sottolineato come i consulenti finanziari abbiano un ruolo importante nella crescita del Paese, grazie al loro lavoro per aumentare la cultura finanziaria degli Italiani.

L’ultimo articolo che ricordo parlava invece di materie prime e dei problemi dettati dallo scarso approvvigionamento di grano, di altri cereali e di olio di girasole dovuto alla guerra purtroppo in atto. Il grano – già argomento principe nei commerci del 1300 – resta ancora oggi centrale nei mercati finanziari, come molte materie prime alimentari. L’esempio più famoso? Il succo d’arancia de “Una poltrona per due”, che ha condotto in rovina due magnati e arricchito due persone comuni.

In questo scenario caratterizzato da nuovi profili, attendibilità degli stessi, cultura e materie prime manca però un dato fondamentale, che a mio avviso è la vera forza che muove il mondo: i rapporti umani. Non si può ritenere un cliente solo un profilo, e ciò che emerge da questo: un quadro è un capolavoro solo se da esso traspare un’emozione.

Le istituzioni devono giustamente garantire l’investitore di una coerenza del sistema, ma il Consulente deve conoscere a fondo l’investitore e questi deve a sua volta acculturarsi in materia finanziaria: questo connubio farà la vera differenza.

Questionari, incontri, video, articoli sono mezzi che permettono al Consulente di trasmettere concetti, valori al proprio cliente il quale compilando il questionario, partecipando ad incontri ed altro aiuta il Consulente a fornirgli un servizio migliore.

Siamo tutti esserli umani, ma siamo uno diverso dall’altro e quindi necessitiamo di risposte ed attenzioni diverse.

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Due motivi per puntare sull’economia reale

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Lo spettro dell’inflazione si abbatte come una mannaia sui risparmi degli Italiani che solitamente hanno nella liquidità e nelle obbligazioni i loro investimenti preferiti. Con l’inflazione al 6 per cento, lasciare i soldi sul conto corrente può essere un vero e proprio “suicidio finanziario”. Qualcuno vocifera che l’aumento dell’inflazione possa essere una strategia da parte dei governi per ripagare il debito pubblico: negli Anni Novanta a un’inflazione del 10 per cento si associava la possibilità di investire in Titoli di Stato allo stesso tasso per coprirsi; oggi a un 6 per cento si contrappone un tasso vicino all’1 per cento(tranne quelli legati all’inflazione), con un risparmio per lo Stato.

Il Governatore della Banca d’Italia, Ignazio Visco, ha parlato recentemente di una tassa sui risparmi: che sia questa? In un contesto come questo, cercare di coprire il valore del proprio denaro con titoli a reddito fisso è un’utopia. Pagheremo quindi con i nostri acquisti il debito pubblico contratto dagli Stati? Andiamo con ordine. L’inflazione è il calcolo del valore di un ipotetico paniere di beni che viene monitorato nel tempo: se aumenta abbiamo inflazione, se diminuisce deflazione. Per tasso di interesse si intende invece un costo che il debitore deve pagare al creditore.

Che relazione hanno beni di consumo e debito pubblico? Quando facciamo un acquisto di qualsiasi genere, il bene acquistato genera una serie di imposte dirette e indirette, che vanno dall’IVA sino all’Irpef. Queste tasse sono entrate che creano surplus allo Stato: quando acquistiamo un Titolo di Stato diventiamo creditori nei confronti dello Stato stesso, e questo a differenza delle tasse crea deficit, cioè è un costo. Se le entrate aumentano con un tasso superiore rispetto alle uscite, si crea un surplus che diminuisce il debito pubblico.

Un altro asset amato dagli Italiani è quello immobiliare. Amiamo la prima, la seconda, la terza… casa, ma una normativa in studio dall’Unione Europea potrebbe mettere i proprietari in condizione di fare spese per adeguare gli immobili alle nuove normative energetiche. Dal 2030 si dovrà – in caso di vendita, rinnovo dell’affitto, ristrutturazione e così via – avere una certificazione energetica ad hoc. La normativa prevede una graduale ma costante decarbonificazione delle emissioni delle abitazioni: la rivoluzione Green tocca anche il bene più amato degli Italiani. La nuova normativa impatterà sicuramente su costi delle transazioni, sui costi di adeguamento per continuare ad avere un reddito da affitto e sulle ristrutturazioni. Proviamo ad immaginare di avere due immobili in affitto e che in uno stesso anno entrambi gli inquilini se ne vadano: per poter riaffittare devo adeguare entrambi gli immobili alla nuova normativa energetica, dovrò affrontare spese e ritardare il nuovo affitto… E se gli standard aumentano negli anni successivi? Avremo ancora nuove spese.

In contrapposizione a questi asset troviamo l’economia reale, che per assurdo da queste due potrebbe trarre beneficio: come? Un’azienda che vende a un prezzo più alto avrà un’entrata maggiore, vero anche che pagherà di più le materie e l’energia, ma la marginalità potrebbe non risentirne, anche perché gli incentivi del PNRR potrebbero dar loro una mano. Essere azionista di questa azienda potrebbe portare dividendi e incremento del capitale.

Nel caso dell’immobiliare, forse il settore produttivo di maggior impatto in Italia: tutte le aziende del settore potrebbero avere un bel vantaggio. In entrambi i casi aumento degli utili e dei ricavi sarebbero un beneficio per gli investitori. Come sempre non esiste l’investimento magico, ma bisogna inserire all’interno della propria strategia investimenti in economia reale nella quantità giusta per il nostro profilo rischio/rendimento.

L’altro giorno ho incontrato un signore di una certa età che stava avendo difficoltà a pagare alle macchinette automatiche di un parcheggio, così l’ho aiutato. Mi ha detto: “Che bello quando c’era qualcuno con cui parlare, era tutto più semplice una volta!” Il mondo evolve e a volte restiamo staccati. Il mondo diventa più complesso e qualcuno deve aiutarci a decodificarlo. 

Puoi comportarti come facevi anni fa, ma il risultato potrebbe non essere quello sperato, vale per tutte le cose ed in particolare per i tuoi investimenti.

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Dal Rischiatutto al Metaverso

Negli Anni Settanta si correva al bar con gli amici a vedere il Rischiatutto condotto dal mitico Mike Bongiorno: un momento di condivisione – come dire i social di allora – quando la televisione sembrava ancora un’autentica rivoluzione. A distanza di poco più di cinquant’anni stiamo parlando di Metaverso o realtà virtuale. Il temine metaverso è da attribuire a Neal Stephenson,che lo ha usato per la prima volta nel suo libro di fantascienza Snow Crash: lo scrittore statunitenseha immaginato una realtà virtuale che ci avrebbe permesso, attraverso la condivisione in Internet, di formare avatar tridimensionali.

In poco più di settant’anni abbiamo visto dapprima nascere la tv commerciale, che ha fatto la fortuna di chi ha avuto la lungimiranza di investirci, e non solo gli imprenditori proprietari, ma anche i piccoli investitori; abbiamo assistito all’avvento della tv satellitare: io che sono cliente della prima ora di Sky, quando ancora si chiamava Telepiù, ho vissuto tutte le evoluzioni di questa nuova tv. Oggi invece siamo ancora a un gradino superiore. Negli ultimi anni abbiamo visto la diffusione della tv via streaming (Netflix in primis) e un modo nuovo di fare televisione: siamo passati dalsubire il palinsesto a creare il palinsesto come più piace a noi. Anche Netflix comunque sta ormai subendo da tempo attacchi di vario genere, da Amazon ad Apple che stanno creando la loro tv in alternativa, sino a Disney Channel che ha visto letteralmente esplodere il numero di utenti.

E adesso si parla di Metaverso applicato ai media. Ma cosa potrà succedere?


Nell’arte abbiamo avuto un sacco di polemiche per quanto riguarda il metaverso con opere virtuali che sono create e vendute attraverso certificati digitali (Nft) di autenticità una nuova fonte di arte che in quanto nuova crea disaccordi tra chi vuol seguire l’onda e chi no. Polemiche anche per il mondo dei videogiochi, dove si discute in merito ai feriti in salotto, persone che una volta entrati nel metaverso lottano con avatar virtuali e facendo a pugni con loro si fanno del male: un nuovo orizzonte per il mondo game, anche se qui i fruitori non discutono certo sull’opportunità.

Come tutto ciò che c’è di nuovo, anche il metaverso fa paura: l’uomo, come dico sempre. le sue streghe da mettere al rogo le deve sempre trovare. La prima volta che ho sentito parlare di metaverso mi è venuta in mente la mitica scena di “Le Comiche” con Renato Pozzetto e Paolo Villaggio che escono dal film ed entrano nella sala cinematografica: e se un giorno fossimo noi a entrare nel film? Se ci fosse ancora mio padre, forse vorrebbe cavalcare al posto di John Wayne ne “Il Grinta”; io invece prenderei volentieri il posto di Sean Connery in uno 007 a scelta. E voi? Ognigiorno abbiamo novità in questo senso e probabilmente arriveremo a tutto questo in ogni salotto perché come sempre il progresso non si ferma, ma per adesso limitiamoci a non perdere il treno.

In campo finanziario queste società avranno sicuramente una crescita e, come gli investitori della prima ora delle tv commerciali, chi vorrà avvicinarsi a questo mondo potrebbe trarne dei profitti.Come dico sempre, all’interno di una strategia ben oliata un investimento in queste nuove tecnologie potrebbe essere interessante. Un mercato nuovo è soggetto a oscillazioni anche violente e frequenti, ecco perché un accumulo potrebbe essere la tattica da usare per dare seguito alla nostra strategia.

Possiamo giocarlo insieme questo game, non credi?

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