E se avesse ragione Maslow?

“Ti andrebbe di parlare con mio cugino? È disperato!”, mi ha detto qualche giorno fa una delle mie più care clienti. Ho poi parlato di persona con suo cugino, che mi ha raccontato la sua storia. L’anno scorso un amico gli ha detto di aver comprato casa con il guadagno fatto con i Bitcoin e lui si è fatto convincere a investire i soldi che aveva: pensava di guadagnare a tal punto da permettersi di fare un mutuo più basso. Oggi, con lo sciacquone che hanno avuto le criptovalute, non si può neanche permettere la caparra per comprare casa. Il suo amico in compenso non si fa più sentire e, quando ha tentato di chiedergli qualche lume, ha semplicemente risposto che le cripto sono il futuro e che non ci sono problemi; non è sicuro che l’amico sia ancora investito pesantemente e ha tra l’altro scoperto che possiede anche un mutuo.

Questo che vi ho riportato è sicuramente un caso estremo, ma le persone che sono rimaste imbrigliate all’interno delle criptovalute sono molte. A prescindere da quello che è scaturito dalla chiacchierata tra me e il cugino della mia cliente e dalla soluzione che abbiamo concordato, la cosa importante è riflettere sulla scelta che ha portato all’investimento in Bitcoin.

Mi viene in mente la Piramide di Maslow. Abraham Maslow è stato uno psicologo statunitense del secolo scorso ed è tra i dieci psicologi più cercati sui motori di ricerca. È famoso per la sua teoria della piramide dei bisogni. Senza entrare completamente nella sua teoria, la cosa che più colpisce è che alla base della piramide sono sistemati i bisogni primari, che sono riassunti in cibo e calore, ritenuti anche più importanti di sicurezza, amicizia e altro. Questo vuol dire che l’essere umano, prima ancora di pensare alla propria autorealizzazione, ha la necessità di pensare agli strumenti primari che gli permettono di vivere.

Quando apriamo una nuova attività, la prima cosa che pensiamo è creare ricavi sufficienti per garantirci cibo e calore; dopo, ma molto dopo, penseremo di avviare un bar alla moda, se la nostra attività è un bar, piuttosto che un ufficio in Piazza Duomo se la nostra attività è una società di consulenza… E via di questo passo. La piramide può reggersi esclusivamente sulla base, sulla punta può stare solo in equilibrio: è molto più probabile che un colpo di vento faccia cadere una piramide che si appoggi sulla punta piuttosto di una che lo fa sulla base. Ecco perché l’autorealizzazione è collocata in cima alla piramide: è qualcosa da soddisfare solo dopo aver coperto tutti gli altri bisogni.

Se trasferiamo nel mondo finanziario il concetto della piramide, dobbiamo posizionare sulla base i beni primari, cioè dobbiamo mettere i denari che ci permettano cibo e calore. Subito dopo andranno le riserve per imprevisti, le spese programmate e via dicendo. A seguire la garanzia del tenore di vita una volta finito di produrre, poi ancora gli altri progetti di vita e in cima alla piramide quello che è definito extra rendimento. L’extra rendimento purtroppo è subdolo e infatti lì collochiamo quegli investimenti che potenzialmente ci possono dare più rendimento, ma anche un po’ più di rischio; sono quegli investimenti che ci scatenano più adrenalina, esattamente come succede a un pilota di Formula 1 quando sale sulla sua monoposto (con la differenza però che lui ci è abituato, perché lo fa di mestiere).

Il cugino della mia cliente ha posizionato la sua piramide sulla punta e il primo colpo di vento ha fatto crollare la piramide. La prima decisione che abbiamo preso insieme è stata quella di creare la base della piramide: meno adrenalina e meno rendimento potenziale, ma sicuramente ora la piramide non crollerà. Da lì in poi arriverà tutto il resto. E per quanto riguarda i Bitcoin? Abbiamo sviluppato insieme una strategia per non uscirne completamente in perdita, ma neanche per non avere tutta la volatilità.

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I cassetti mentali

La settimana scorsa un sociologo definiva la problematica previdenziale come una situazione da monitorare con molta attenzione: secondo lui con il sistema di previdenza attuale stiamo creando nuovi poveri. Il giorno dopo Il Sole 24 Ore riportava quelle che sono le intenzioni del Governo appena incaricato in merito alle pensioni: una patata bollente da affrontare subito.

Anche questa volta, come tutte le altre, non mi aspetto certo un miglioramento delle condizioni previdenziali. Credo che non si possa più derogare dalla previdenza complementare: lo sanno anche i governi, che ogni volta vogliono incentivarla; credo però che non basti il solo vantaggio fiscale per aumentare le adesioni. Non si dovrebbe infatti fare un fondo pensione solo per il guadagno fiscale, che pure è un bellissimo incentivo. A prescindere da questo – e, a mio avviso, anche dallo strumento – un accantonamento previdenziale o con finalità previdenziali va fatto in qualunque caso.

Dobbiamo però fare una riflessione importante, che nasce da due cose che mi sono capitate recentemente. La prima: ho letto la nuova tabella che mette in evidenza come gli Italiani si collochino al 63° posto per Educazione Finanziaria. Un fatto, questo, che sicuramente non agevola la previdenza complementare, già di per sé difficile da comprendere: figuriamoci se affrontata senza la giusta preparazione. 

La seconda: la settimana scorsa ho incontrato un cliente per parlare della sua necessità di fare una piccola ristrutturazione di casa. Una volta stabilita la cifra che gli necessita, mi chiede: “La prendiamo dal fondo pensione? Tu mi avevi detto che, nel caso di ristrutturazione della prima casa per me o per i figli, potevo farlo”. Ho fatto una riflessione con lui e, come mi capita spesso, ho usato una delle mie metafore, per rendere più immediato il concetto: “Credo che tu, come tutti noi, abbia un armadio; nel tuo armadio ci saranno dei cassetti dove riporre la biancheria, le magliette, i maglioni e così via; magari nel cassetto dei calzini hai i fantasmini per l’estate e le calze di lana per l’inverno: non credo che nel mese di agosto, con 37 gradi all’ombra, tu abbia messo i calzettoni di lana”. 

Allo stesso modo dovremmo ragionare per quanto riguarda i nostri investimenti: dobbiamo imparare a usare i cassetti mentali. Il cassetto nel breve termine, il cassetto del medio termine, il cassetto del lungo termine… Meglio ancora: il cassetto della ristrutturazione casa, il cassetto dello studio dei figli, il cassetto della previdenza… Il nostro portafoglio di investimenti ha delle logiche di breve, di medio e di lungo termine e bisogna mantenere una cifra per le spese correnti, una per gli imprevisti, una per gli investimenti e una per la previdenza. I calzini corti di cotone li uso in estate, non per andare a sciare: allo stesso modo uso il denaro accantonato per la riserva e le spese impreviste per ristrutturare casa.

Ogni cassetto ha la sua funzione, come le cose che ci mettiamo dentro: non possiamo mettere tutto in un unico cassettone alla rinfusa. Buttereste calzini, boxer, maglioni e magliette alla rinfusa dentro lo stesso cassetto? Non credo. Allora perché farlo con il denaro?

Prendiamo il denaro per la ristrutturazione dalla riserva, perché è accantonata per le spese impreviste o che non facciamo tutti i giorni: non lo prendiamo dal fondo pensione, perché quello serve per garantire un reddito da accantonare alla pensione e che logica può avere, se non strettamente necessario, svuotarlo oggi per riempirlo domani?

Cassetti mentali ed Educazione Finanziaria sono due facce della stessa medaglia: sapere che l’inflazione erode la liquidità ci farà tenere, per esempio, una cifra più contenuta nel cassetto liquidità; sapere invece che la volatilità è amica dei piani di accumulo ci farà riempire con più denaro il cassetto per lo studio dei figli, piuttosto che il cassetto per la previdenza o quello per la casa al mare.

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Gli scongiuri non bastano

La settimana scorsa ho incontrato un imprenditore che non è mio cliente, la tipica persona che io da sempre definisco 85/15, cioè: 85 per cento di tempo e risorse in azienda e il rimanente per quello che sono gli affari personali. Abbiamo fatto una bella chiacchierata sulla situazione politica italiana, sulla guerra e sulle materie prime. Lui lavora i metalli e ha studiato una nuova procedura per ridurre gli sprechi e l’energia. Si lamentava della fatica nell’approvvigionamento e dei costi che sono lievitati, dell’inflazione e di tutte le notizie che si leggono sui giornali. 

Dopo aver parlato dei fatti mondiali, siamo scesi nel particolare, soprattutto per quanto riguarda la sua situazione: sposato con due figli, un figlio di 17 anni e una figlia di 15, casa di proprietà, baita in montagna ereditata dai genitori di cui vorrebbe rilevare la parte del fratello, la voglia di acquistare un capannone più grande perché l’azienda sta prendendo nuove commesse. Dopo aver analizzato le risorse presenti, sia personali sia dell’azienda, siamo andati a incasellarle nella sua pianificazione. Qui alla mia domanda: “Se Lei dovesse mancare, ha già provveduto? Provi a pensare se tutto quello che sta facendo in questo momento, gli investimenti nell’azienda e tutto il resto, fossero vanificati da una sua dipartita”. La risposta è stata una faccia stranita e un’affermazione: “C’è già mia moglie che mi pungola sempre per questa cosa, ma io non ci ho davvero ancora pensato”. Oltre agli scongiuri di rito, l’invito alla riflessione ha avuto il suo effetto: abbiamo analizzato tutte quelle situazioni che potrebbero crearsi se lui non ci fosse più. 

Il primo scenario, che è anche il più probabile, è il fatto che il figlio, che sta studiando meccanica, possa entrare in azienda; la figlia invece vuole dedicarsi alla medicina. Questa situazione, apparentemente logica, porta al suo interno un grosso problema: se lui non ci sarà più, l’azienda passerà alla moglie e ai figli con la possibilità, come già ho visto più volte, di una discussione tra eredi. La possibilità di uno smembramento è alta. Proviamo a pensare se si possa riequilibrare il suo patrimonio tra gli eredi, in modo che l’azienda vada a suo figlio, ma allo stesso tempo anche sua figlia e sua moglie non siano penalizzate: a tal proposito suggerirei un incontro a tre con il suo commercialista.

Il giorno dopo ci siamo trovati a pranzo e abbiamo strutturato un’ipotesi di massima per tutelare gli sforzi profusi e gli investimenti fatti e da fare. Al di là della soluzione – che essendo ad personam non è replicabile, quindi non metto la soluzione – la riflessione da fare è: stiamo tutelando nel migliore dei modi il nostro patrimonio?

Il fatto più ricorrente che vedo nella mia attività sono i genitori che aiutano economicamente i figli per l’acquisto della casa o per altre situazioni di vita; questa cosa purtroppo crea spesso problemi una volta che i genitori vengono a mancare; il fratello o la sorella che si ritengono danneggiati dalle scelte dei genitori rivendicano i loro diritti con conseguenti lotte tra parenti.

Pensare in anticipo a una cosa del genere, con un semplice testamento olografo per le cose più semplici, sino ad arrivare a strutture più complesse quali il Trust, i patti di famiglia o altro può essere una soluzione a questa situazione. L’inflazione al 7 per cento e la correzione temporanea dei mercati non sono nulla di fronte alla possibilità che il nostro lavoro e i nostri sacrifici siano vanificati per una scelta strategica che spesso non facciamo perché dolorosa da fare, ma gli scongiuri non bastano.

Una pianificazione così profonda vale per tutti? La risposta è no, naturalmente, ma solo la presenza di due figli, di due immobili, di altre proprietà o di una piccola attività rende comunque necessaria una riflessione.

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