La fretta e gli investimenti non sono amici

L’altro giorno, come mi capita spesso, parlavo con una persona appena incontrata di strategie, investimenti e quant’altro, quando all’improvviso mi ha apostrofato con questa domanda: “Perché dovrei investire a lungo termine per guadagnare, quando ho un vicino di casa che investe tramite un suo contatto in Germania e riesce a ricavare senza grandi investimenti fino a 6.000,00 € al mese?”. A un quesito del genere non ho potuto che rispondere: “In effetti qualche traffico illecito è redditizio!” e anche “Un bel sistema Ponzi potrebbe essere l’alternativa”. 

Così, dopo aver spiegato al mio interlocutore cos’è un Sistema Ponzi, ho cercato di capire cosa ci fosse effettivamente dietro alla sua domanda. Ho scoperto che quello che sta succedendo nel mondo lo spaventa, che ha visto il suo capitale decrescere: non si aspettava la correzione dei fondi obbligazionari e dei BTP, e questi cali lo hanno indotto in tentazione. La voglia di recuperare in fretta le correzioni lo stava portando a fare scelte sbagliate. Non possiamo razionalmente pensare di avere rendimenti del 120 per cento in un anno investendo in strumenti che non hanno al loro interno rischi ingenti di capitale, ma il solo sentir parlare di certe cifre ci fa venire l’acquolina in bocca. A bocce ferme sembra impossibile che una persona caschi in una cosa del genere, ma abbiamo visto fior di personaggi finire in simili tranelli. Persino l’allenatore di calcio Antonio Conte, ad esempio, qualche anno fa è stato vittima di una truffa in stile Ponzi.

Una volta portato a più miti consigli, spiego al mio interlocutore che la fretta è una cattiva consigliera: persino il campione olimpico dei 100 metri, se ha fretta di partire, rischia la squalifica. Come sempre dietro alle nostre scelte ci sono emozioni che ci portano a decisioni di pancia e non di testa: la linea tendenziale data dal panico che ci poniamo in testa ci annebbia la mente. Un cliente l’altro giorno mi chiedeva se, nel caso la guerra continuasse, prima o poi arriveremo a zero: la risposta è chiaramente no, perché solo nel caso della fine del mondo i mercati andrebbero a zero, ma allora ci sarebbero ben altri problemi.

Il presidente della CONSOB Paolo Savona ha recentemente affermato che bisogna creare dei portafogli che permettano ai risparmiatori di proteggersi dai rischi di inflazione e quello che proponeva era di indirizzare il risparmio verso la parte produttiva del Paese, cioè il mercato azionario. La riflessione di Savona è sicuramente corretta, ma presuppone la possibilità di avere investitori pronti ad affrontare le turbolenze: molti oggi invece preferiscono stare fermi, piuttosto che entrare sul mercato. Questo atteggiamento è certamente sbagliato perché – pur non potendo sapere, per ovvie ragioni, quando sarà il picco di minima – è lecito aspettarsi una ripresa del mercato nel medio periodo.

Tutti questi argomenti sembrano slegati tra loro: Ponzi, la fretta, le emozioni, la linea tendenziale e le affermazioni del presidente CONSOB… Questo però è quello che l’investitore italiano deve subire tutti i giorni: i mezzi d’informazione un giorno esaltano una cosa e il giorno successivo la demonizzano, come se nel volgere di ventiquattr’ore il mondo si ribaltasse sotto sopra. Tutte le mattine, leggendo le notizie di finanza, mi imbatto continuamente in queste contraddizioni. Allora come può un investitore difendersi da tutto quello che succede?

La pianificazione è la chiave di lettura per rispondere a tutto questo. Luciano Scirè, con il suo Goal Based Investing, ci insegna che investire attraverso quelli che sono definiti “cassetti mentali” ci permette di vivere serenamente, o per lo meno con meno angoscia, le correzioni di mercato, perché i risparmi hanno una logica, una collocazione razionale; non smetto di sognare che mio figlio di due anni un giorno andrà all’università: se oggi sale l’inflazione, probabilmente nel suo primo giorno di ateneo nessuno gli ricorderà l’inflazione al 7 per cento.

Tutto questo non è facile: anche ieri ho incontrato un potenziale cliente e lo scoglio più grande è capire orizzonti temporali e obiettivi. È una strada lunga, quella dell’educazione all’investimento per obiettivi, ma è anche l’unica strada per trasformare i risparmiatori italiani in investitori; e, visto che i numeri non mentono, aumentare in benessere, perché l’investitore evoluto ha maggior benessere di uno non evoluto. 

Non perdere il mio prossimo seminario sulla Sostenibilità: è un tassello per la tua conoscenza e quindi anche per il tuo futuro benessere.

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Muri o mulini?

“Quando soffia il vento del cambiamento, alcuni costruiscono muri, altri costruiscono mulini a vento”. 

Quando l’altro giorno ho risentito questo proverbio cinese avevo sulla mia scrivania un grafico, di cui ho anche parlato in un video poco tempo fa, in cui si evidenzia una ragione all’anno per non investire con riferimento agli ultimi cinquant’anni. Nel 1973, in piena crisi energetica, c’era chi professava il ritorno al carbone e chi pensava al motore elettrico e alla fusione nucleare; nel 2008, in piena crisi per i Mutui Subprime, c’era chi pensava alla fine del mondo finanziario come lo conoscevamo e una crisi infinita e chi pensava ai rimedi per non incorrere un’altra volta nel problema; nel 1986, quando è successo il disastro di Chernobyl, qualcuno pensava alla fine del nucleare e altri a renderlo sicuro… Potrei fare altri esempi, ma mi fermo qui.

“Oggi è diverso!” Questa è l’affermazione che molti potranno fare. Oggi intanto si sommano guerra, materie prime, inflazione e così via: ogni volta è diverso, ma ogni volta gli esseri umani trovano una soluzione. Un esempio su tutti? Dal 2000 al 2003 nell’ordine; Dat-com, Torri Gemelle, scandali contabili e Guerra in Iraq, manca il carico di briscola e abbiamo tutto: eppure nei cinque anni successivi abbiamo assistito a una grande crescita. Allora, anziché innalzare muri, costruiamo mulini a vento e cominciamo a chiederci dove andrà questo mondo: perché da qualche parte andrà. Come dice Steven Pinker nel suo saggio “Illuminismo adesso” sono le persone illuminate, cioè quelle che non pensano a complotti o cose di questo genere, che hanno cambiato il mondo: vi consiglio di leggerlo.

In tutti questi cambiamenti possiamo trovare settori, aree e strumenti su cui puntare. I primi due settori che mi vengono in mente sono la sicurezza informatica e l’energia pulita: non possiamo più pensare di essere in balia di hacker che possono minacciare il nostro sistema operativo o che possano tenere in scacco i dati delle persone; domande come: “Ma gli hacker possono azzerarci i conti?” sono sicuramente frutto di una propaganda non illuminata, ma di chi vuole speculare. La chiusura delle forniture di gas e petrolio dalla Russia ci ha fatto invece capire che dobbiamo cercare energie alternative ed ecologiche: magari una bella centrale di quarta generazione? Perché dobbiamo guardare avanti e non indietro. La paura attanaglia e non fa crescere.

La Cina oggi sta applicando una restrizione netta per portare a zero i contagi covid: “Così distrugge la propria economia”, si dice. Le scelte cinesi alla fine si sono sempre però rivelate vincenti. Mentre chiude per COVID investe in formazione, puntando così a diventare non più la fabbrica del mondo, ma una fucina di idee. Il mondo sta cambiando e noi non ce ne accorgiamo: la Cina è già la prima economia e crescerà ancora, quindi è in questo momento un’occasione di investimento. Per assurdo anche l’Italia potrebbe esserlo se solo usassimo correttamente il PNRR, che molto assomiglia a un Piano Marshall (anche lui un illuminato che ha visto oltre).

Il mercato si riprenderà? Questa domanda me l’hanno fatta anche l’altro giorno. La domanda vera da porre è non se il mercato si riprenderà, ma quando. A questa domanda chiaramente non posso dare una risposta, ma so, perché la storia ce lo insegna, che tanto più sono violente le correzioni e tanto più veloci, tanto sarà rapida la ripresa. Un esempio su tutti: a metà ottobre 2001 Milano Finanza intitolava “Wall Street batte Bin Laden”. A caduta violenta corrisponde una altrettanto violenta ripresa.

Come dicevo non è dato di sapere quando ripartirà il mercato: oggi mentre scrivo il mercato ha fatto un balzo in avanti, potrebbe essere il primo giorno di ripresa come un giorno interlocutorio, ma una certezza l’abbiamo. Il prossimo picco di Borsa sarà più alto del precedente. Nel frattempo cerchiamo di non farci trovare impreparati: magari un bel piano d’accumulo piuttosto che degli aggiuntivi o dei ribilanciamenti… ma solo se non ho pianificato correttamente o se ho liquidità, perché chi ha pianificato correttamente deve solo pazientare. Costruiamo mulini a vento per lasciare ai nostri figli e nipoti un mondo migliore e per far questo investiamo nel futuro.

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Dividendi, l’araba fenice della Finanza

A volte nel mondo finanziario si presentano situazioni che, come l’araba fenice, riemergono dalle loro stesse ceneri. Sulla stampa specializzata, infatti, si ritorna a parlare di dividendi, e in special modo di quelli americani a cui qualcuno aveva fatto il funerale non molto tempo fa. I dividendi rappresentano quella parte di denaro che le aziende, una volta chiuso il bilancio, decidono di ridistribuire come “premio” per le azioni possedute. I dividendi sono tipici di imprese strutturate, un po’ come dire old economy, e pertanto erano stati dichiarati finiti sull’onda del nuovo che avanza. Le nuove aziende tecnologiche, infatti, non sono molto avvezze ai dividendi, ma preferiscono una crescita del valore senza ridistribuire gli utili.  

Gli Italiani da sempre hanno puntato a un introito attraverso la cedola dei BTP, che hanno dato loro rendimenti spesso interessanti, per avere liquidità da spendere ricavata dai loro investimenti. Acquistare titoli di Stato – come ripeto spesso – vuol dire però investire in un debito, mentre diverso è investire in un mercato azionario. Ancora oggi che i rendimenti sui titoli di Stato sono molto bassi, i risparmiatori non rivolgono il loro interesse verso coloro che generano ricchezza e lavoro, cioè i mercati delle imprese. C’è un fenomeno che mi fa sorridere: da una parte gli Italiani acquistano obbligazioni, per la cedola e per non “rischiare il capitale” con l’azionario, e dall’altra strizzano l’occhio alle Criptovalute, che hanno avuto dalla loro nascita (2008) ben tre cali dell’80 per cento. Immaginate di aver investito 100.000,00 € e trovarvene 20.000,00 €… Come sempre un po’ di adrenalina tiene vivi.

Torniamo ai nostri dividendi: un giardinetto – termine romantico per definire un dossier con un certo numero di azioni, di titoli con dividendo – paga percentualmente di più di un BTP e oscilla meno di una Criptovaluta. Come sempre non dobbiamo prendere e invertire completamente la rotta: niente testa coda con tanto di freno a mano anni ’80, ma una parte di portafoglio potrebbe essere inserita in una logica di questo genere.

Ma questo mi vuol dire di investire in azioni? Come sempre le mie comunicazioni non sono bianco o nero, oppure compra A piuttosto che B, ma vogliono stimolare riflessioni. Avere oggi titoli che rendono lo zero virgola per paura delle oscillazioni può essere integrato: un bel 50 e 50, ad esempio, con un po’ di titoli a cedola per avere una cedola da dividendo più alta. Il prezzo da pagare è avere un po’ di oscillazioni.

Anche questa è Educazione Finanziaria. L’altro giorno ho trascorso due ore a spiegare la bontà o meno di investire in un titolo con cedola al 20 per cento. Sì, non ho bevuto: chi non vorrebbe una cedola così? Purtroppo dobbiamo sempre vedere pro e contro di un’operazione. Se un rendimento così alto si porta dietro il fatto di investire in Turchia in lire turche, forse il 20 per cento mi sembra meno appetibile: rischio, cambio e via discorrendo minano la bontà dell’operazione. Da una parte la paura delle oscillazioni mi porta ad accettare bassi rendimenti, dall’altra la voglia di guadagnare mi porta a non vedere altri rischi, ma entrambi sono facce della stessa medaglia: mancanza di cultura finanziaria e mancanza di pianificazione.

Un po’ di BTP, un po’ di azioni con dividendo e un po’ di lire Turche possono anche convivere tra loro, in seno a una pianificazione con accettazione di tutte le variabili dal basso rendimento all’alta volatilità: basta sapere che cosa si fa.

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Ti piace perdere facile?

“Si ricomincia a parlare di spread tra Bund e BTP, il debito pubblico torna sotto i riflettori: l’inflazione potrebbe essere un bel mezzo per abbassare il debito pubblico”, ho detto io. “Mi scusi, ma negli Anni Settanta in Italia avevamo un’inflazione del 12 per cento e il debito pubblico ha continuato a crescere, quindi la sua affermazione non è esatta”, mi ha risposto un signore durante una nostra chiacchierata. Bisogna ammettere che questo signore ha ragione a dire che quarant’anni fa abbiamo avuto un’inflazione al 12 per cento, ma avevamo anche dei titoli di Stato con un rendimento superiore 14-15 per cento. Oggi invece, di fronte a un’inflazione intorno all’8 per cento, abbiamo titoli di Stato con rendimenti che ad andar bene sono al 2 per cento.

Dal punto di vista dell’investitore degli Anni Settanta, avere dei rendimenti al 14-15 per cento era importante: voleva dire mantenere il proprio potere d’acquisto, e anzi avere un guadagno, il tutto davanti a un aumento dei prezzi del 12 per cento. Quei rendimenti sono però rimasti indelebili nel nostro debito, che ha continuato a crescere e che con la Pandemia è arrivato a picchi altissimi. Questo debito andrà abbassato e l’inflazione all’8 per cento a fronte di un rendimento del 2-3 per cento può dare una mano allo Stato Italiano. Cerchiamo però di fare chiarezza.

Oggi con 100.000,00 € compro una certa quantità di prodotti: mettiamo di pagare l’IVA al 10 per cento su questi prodotti, quindi la nostra tassa sarà di 10.000,00 €. Lo Stato di contro dovrà pagare a un investitore con 100.000,00 € l’interesse del 2 per cento (rendimento ipotetico), cioè 2.000,00 € sui titoli di Stato. Con un’inflazione all’8 per cento, la stessa quantità di prodotti dovrò pagarla 108.000,00 € con una tassa di 10.800,00 €. A fronte di 2.000,00 € di cedole pagate, lo Stato incassa 800,00 € in più. Questo vuol dire che con i nostri consumi stiamo ripagando il debito pubblico, anche se sarebbe meglio farlo con un aumento del PIL, perché questo vorrebbe dire aver ripreso a produrre con aumento reale di benessere per tutti.

Purtroppo concetti come inflazione, tassi e altro sono per gli Italiani piuttosto ostici: abbiamo, ahimè, un’educazione finanziaria che ci colloca agli ultimi posti per conoscenze e comportamenti finanziari e attitudine al lungo periodo. (vedi foto)

Un esempio lampante? Il denaro sui conti correnti. Se conoscessimo bene il concetto di inflazione, lo avremmo tolto ieri: perché il pane che costa 3,00 € al chilo oggi, domani lo pagheremo 3,24 € e, se i nostri soldi non rendono l’8 per cento, io ci sto perdendo. Manteniamo i soldi sul conto per avere una via d’uscita: se mi succede qualcosa, se rompo la macchina, se ho una spesa imprevista di qualsiasi tipo e così via… Salvo poi la macchina acquistarla a rate, cioè raddoppiando la perdita: all’inflazione infatti aggiungo i costi di finanziamento.

Lungo periodo questo sconosciuto per gli Italiani? Direi di no. Gli Italiani investono per lunghi periodi, ma senza rendersene conto. Investire con strumenti di breve durata, ad esempio un titolo obbligazionario a tre anni e rinnovarlo per altri cinque e poi per altri cinque e poi per altri quattro e poi per altri tre… vuol dire aver investito per vent’anni, ma con lo strumento sbagliato. Aver investito 4000,00 € nel 1970 oggi vuol dire averne 189.000,00 € (esempio reale). Questo è lungo periodo, ma noi lavoriamo per 42 anni ed il nostro TFR potrebbe avere analoghi risultati.

La cultura da sempre è sinonimo di benessere: la Cina sta investendo in cultura per aumentare il benessere e i Paesi dove la cultura finanziaria è più alta maggiore è il benessere. I 1.800 miliardi lasciati sul conto corrente dagli Italiani dimostrano come la poca cultura porti ad avere meno benessere.

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