Investimenti tra guerra e psicologia

Fonte: Ilsole24ore

Putin alla fine ha deciso di invadere l’Ucraina: in questo momento non sono importanti le motivazioni dietro questo attacco, ma il prenderne atto. L’invasione dell’Ucraina mette ulteriore carne al fuoco sui mercati che sono già in ansia per tassi e inflazione. Scindiamo però gli accadimenti: parliamo di un fatto violento, la guerra, e di un fatto macroeconomico, tassi e inflazione. Le due cose non andrebbero messe sullo stesso piano, anche se entrambe vanno ad influire sui mercati finanziari.

I fattori macroeconomici dovrebbero farci preoccupare, ma per assurdo lo fanno molto meno della guerra: perché? Esiste una parte del nostro cervello, che è chiamato cervello rettile – che è considerato dagli scienziati il nostro cervello ancestrale: si tratta cioè della sua parte più vecchia, quella che ha la funzione di metterci in allerta dai pericoli, quella che faceva scappare i nostri avi preistorici per evitare l’attacco degli animali. La funzione di questa parte del cervello si attiva quando sentono parole come “guerra”: ci mettono in allerta, e l’allerta è una buona cosa, perché ci fa stare belli svegli e attenti.

La parola guerra, però, evoca giustamente anche dei sentimenti: innanzitutto la paura. La paura in sé non è né buona né cattiva: se abbiamo paura dell’acqua e non sappiamo nuotare, questo ci evita di annegare perché non ci fa avvicinare. La paura però non deve sfociare in panico: se cado in acqua e non so nuotare, la paura può diventare panico e io mi dibatto fino ad affondare, anche se per una legge della fisica il mio corpo da fermo potrebbe galleggiare e impedirmi di andare a picco. Ecco un esempio di come una escalation di paura che sfocia nel panico possa essere deleteria per la nostra stessa sopravvivenza.

La stessa identica cosa vale per il nostro denaro: la paura è lecita, e tutti i sentimenti sulla guerra sono giusti, ma non devono diventare panico. Il panico, come per chi cade in acqua non sapendo nuotare, ci fa dibattere e ci crea stati d’ansia che difficilmente riusciamo a gestire e questo ci porta presto o tardi a fare errori. La filosofia buddista, ad esempio, combatte gli stati di ansia con la meditazione: visto che però non possiamo fare un corso di meditazione in un giorno, vediamo di fare altro, e cioè ragionare.

Se guardiamo alla Storia, ogni volta che succede un fatto violento il mercato reagisce allo stesso modo. Osservando il grafico che segue, possiamo vedere come l’11 Settembre, all’interno della crisi Dat-Com, è solo una correzione breve e che ha avuto una reazione violenta. Quindi, come dico sempre, la calma in questo momento è fondamentale: bisogna evitare di farsi prendere nella rete di chi butta legna sul fuoco con paroloni tipo “Bruciati milioni in Borsa!” o cose di questo genere, che non fanno altro che alimentare l’ansia.

Msci.it

Il denaro investito tornerà certamente ai valori che aveva prima, e l’unico modo per non tornare in possesso dei propri denari è vendere: quindi l’unica garanzia per conservare il proprio denaro è lasciarlo investito.

Se addirittura vogliamo economicamente sfruttare il momento di flessione, l’unica cosa da fare è innanzitutto spegnere la TV e poi metterci altro denaro. 

Preferisco essere l’uomo della coffa che guarda lontano, piuttosto che stare in coperta in balia delle onde. Quindi barra a dritta e avanti tutta.

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Un cliente di un Consulente Finanziario scrive a “Il Sole 24 ore” – 4 giugno 1988.

” Si investe meglio nei momenti peggiori.
Sono un vecchio cliente di Fideuram da più di 14 anni e desidererei portare a conoscenza dei lettori “Il Sole 24 Ore” la mia viva esperienza di “fondista” rivolgendomi soprattutto ai nuovi e giovani consumatori finanziari più che ai clienti che hanno sottoscritto Fondi comuni.
Ho iniziato acquistando Fonditalia nel 1973 (lire 8milioni e 200).
All’inizio del 1975 stavo perdendo soldi e la minusvalenza su 10 milioni investiti era sostenibile (-27%) e naturalmente non ci stavo e “bruciava”.
Il mio consulente in quell’anno mi propose di fare un versamento aggiuntivo di ulteriori 10 milioni per mediare il costo medio, ma io mi opposi e lo presi per matto.
Ma oggi posso dire che entrambi abbiamo commesso un errore: io di non avergli creduto, lui di essersi intimidito di fronte alla mia reazione e di non aver insistito con convinzione e determinazione per farmi capire che la proposta era davvero sensata.
Allora credevo di averci perso, pur non avendo liquidato, ma in realtà non mi rendevo conto di perdere un’ottima occasione per entrare anzitempo in “zona guadagno” e far rendere di più negli anni successivi la liquidità che intanto avevo lasciato in conto corrente. Se avessi ascoltato il mio consulente, oggi invece di avere 105 milioni ne avrei avuti 250.
Perché ho raccontato questa mia esperienza? Semplice. Perché centinaia di migliaia di risparmiatori stanno oggi commettendo lo stesso mio errore del 1975 e migliaia di consulenti finanziari dovrebbero con convinzione e determinazione far capire e motivare i loro clienti che è nei momenti di grande ribasso e “perdita” che si possono cogliere delle enormi opportunità. “
SILVANO CALABRESI (Padova)

C’era una volta il Millennium bug

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Vi ricordate del Millennium Bug? Conosciuto anche come Y2K Bug, avrebbe dovuto mandare in tilt tutti i computer del Pianeta allo scoccare della mezzanotte del 1° gennaio 2000. Gli esperti di informatica iniziarono a parlarne già diversi anni prima: anche l’allora Presidente degli Stati Uniti, Bill Clinton, mise in guardia la propria nazione sul possibile pericolo che si stava correndo. A distanza di ventidue anni sappiamo ormai che non successe nulla, o quasi: solo pochi programmi manifestarono dei problemi e tra l’altro di non così grave entità.

Ogni volta che all’orizzonte s’intravede un possibile problema, entrano in ballo i catastrofisti che con dovizia di particolari c’informano di come il mondo finirà: anche nel momento in cui stiamo vivendo, ad esempio, ci sono persone che prospettano uno scontro fratricida tra Russia e Ucraina. Certo una guerra del genere è possibile, ma personalmente mi chiedo: a chi conviene veramente spingere verso una tale prospettiva? Non dico che non si debba stare allerta, ma credo anche che tutta quanta l’umanità, Russia compresa, non abbia alcun interesse a estinguersi a causa di una guerra nucleare. Sino ad ora comunque – e con buona pace dei catastrofisti – il mondo non è ancora finito e anzi il progresso continua.

Un’altra tendenza attualmente molto in voga è il caro vecchio ricorso al “si stava meglio quando si stava peggio”. Chiedetevi però se vorreste vivere come un vostro antenato del XIX secolo: aspettative di vita limitate a poco più di cinquant’anni, niente mass-media, telefoni, innovazioni scientifiche, mediche, tecnologiche. Si stava davvero meglio allora? Certamente avere nuovi orizzonti presuppone l’avvento di nuovi problemi, ma anche di nuove opportunità: l’aspettativa di vita che oggi supera gli ottant’anni, una cosa estremamente positiva che comunque nasconde delle criticità. Se si ha la fortuna di vivere oltre quell’età con buona salute e buone risorse è un bene, ma se si vive ad esempio con buona salute, ma senza risorse non è la stessa cosa.

Per rimanere in buona salute possiamo condurre una vita il più possibile salutare, ma la nostra possibilità si riduce a questo; per quanto riguarda le risorse invece è possibile fare molto di più. La settimana scorsa rileggevo sull’inserto di economia de Il Giornale l’intervista ad Annamaria Lusardi, presidentessa del comitato EDUFIN, dal titolo “Italiani bocciati in Finanza: va insegnata alle elementari” e su Il Sole 24 Ore un altro articolo in cui si diceva che gli immobili, gioia e delizia degli Italiani, hanno avuto rendimenti reali negativi per il 6,1% all’anno negli ultimi anni. Huston, abbiamo un problema, dicevano sull’Apollo 13: se gli Italiani vivono di più, le case rendono meno. Non si pianifica perché siamo stati abituati allo Stato che ci garantiva le pensioni, la certezza dei rendimenti e le garanzie del capitale, ma come dice Lusardi tutte queste certezze non ci sono più e dobbiamo pensarci noi.

Non voglio fare come i catastrofisti che sparano notizie tendenziose solo per il piacere di farlo, ma vorrei fare come i ragazzi dell’Apollo 13 che davanti a un problema hanno trovato la soluzione: e per trovare la soluzione si sono impegnati tutti. 

Ecco perché oggi ti chiedo un impegno: iscriviti al mio webinar del 25 febbraio prossimo e fai iscrivere un tuo amico a cui vuoi bene e insieme diremo come il capo missione di Apollo 13: “Non abbiamo mai perso un astronauta nello spazio e di sicuro non ne perderemo uno mentre io sono qui. Il fallimento non è contemplato!”

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La sindrome del boscaiolo

Un giorno un uomo entrò in un bosco. In lontananza si sentivano dei colpi d’ascia: incuriosito, l’uomo si avvicinò e vide un boscaiolo che lavorava senza badare a nessuno. L’uomo notò che, malgrado il boscaiolo picchiasse forte, la pianta era di poco scalfita; disse allora rivolto al boscaiolo: “Perché non affili la lama?” e il boscaiolo rispose: “Non ho tempo, devo tagliare le piante”. 

Spesso e volentieri il nostro atteggiamento verso le cose è simile a quello del boscaiolo: siamo talmente intenti nelle nostre azioni, che non ci fermiamo a riflettere e ad accertarci se ciò che stiamo facendo sia la cosa più corretta o se ci sia la possibilità di fare di meglio. Anche per gli investimenti spesso accade così. Questa storiella mi è tornata in mente l’altro giorno, mentre parlavo con un nuovo cliente. Durante la nostra chiacchierata ho fatto le classiche domande per capire cosa volesse dai suoi soldi e quali fossero i suoi obiettivi; la risposta è stata: “Non so cosa rispondere, io lavoro e accantono: non si sa mai”. 

Non pianificare i propri investimenti equivale a menare colpi d’ascia senza fermarci ad affilare la lama: la resa dell’ascia dopo un’affilatura diventa sicuramente migliore, come diventerà migliore il risultato dei nostri investimenti se questi sono ben finalizzati. Facciamo un esempio, così forse davanti a dei numeri capiamo meglio quello che voglio dire. 

Prendiamo tre ragazzi di vent’anni, Qui, Quo, e Qua. Il primo, Qui, accantona 100,00 € al mese sul conto corrente per quarant’anni; alla fine del periodo avrà nominalmente 48.000,00 €, dico nominalmente perché non tengo conto dell’inflazione. 

Il secondo, Quo, decide di accantonare 100,00 € al mese nello stesso strumento che ha usato sino ad ora suo padre e che avrà una resa a scadenza del 3 per cento annuo, perché non si sa mai; alla fine del periodo di quarant’anni avrà 91.945,20 €, sicuramente un ottimo risultato e certamente migliore di quello ottenuto dal suo coetaneo che non si era neanche preso la briga di vedere delle alternative al conto corrente. 

Il terzo, Qua, decide di investire in un fondo pensione per garantirsi un’integrazione alla propria pensione, perché si è informato e ha capito che sicuramente avrà dall’INPS un assegno di molto inferiore al suo stipendio quando andrà in pensione; Qua decide pertanto di investire 100,00 € in un fondo pensione, che guarda caso avrà lo stesso rendimento nominale del 3 per cento come è successo a Quo, per cui alla fine avrà un capitale di € 91.945,20 €. Qua inoltre avrà usufruito del risparmio fiscale. 

Mettiamo il caso che nella sua vita Qua non migliori la sua situazione lavorativa e abbia un’aliquota fiscale del 23 per cento: vuol dire che ogni anno facendo il 730 avrà sulla busta di luglio 276,00 €, che sono appunto il 23 per cento dei 1.200,00 € annui versati da Qua, per un totale nei 40 anni di 11.040,00 €. Alla scadenza avrà una tassazione sui soldi che ha portato in deduzione di 4.320,00 €, con un guadagno fiscale di ulteriori 6.720,00€. 

La domanda che sorge spontanea è: “Se Qua dovesse aumentare il suo reddito, cosa potrebbe succedere?” Sicuramente Quo e Qua hanno affilato la lama alla loro ascia: hanno in modo diverso pianificato il futuro. Di certo Qua l’ha fatto meglio e ha ottenuto di più: infatti, pur avendo lo stesso capitale di Quo, ha il plus della fiscalità.

A volte fermarsi a riflettere può essere importante: ti esorto a farlo il 25 febbraio prossimo, quando terrò un webinar sui perché della Previdenza. Ci saranno tanti esempi e che tu abbia venti o cinquant’anni non importa, perché c’è sempre un motivo per pensare alla propria pensione.

Puoi decidere se menare l’ascia nei tuoi anni di lavoro, senza badare se è affilata, oppure affilarla e – cosa ancora più importante – ogni tanto controllarne il filo.

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Meglio un TFR oggi o una pensione felice domani?

Cock and the Egg

Il TFR o Trattamento di Fine Rapporto è un diritto del lavoratore e quella somma, pari a circa il 6,91 per cento del reddito lordo, gli viene retrocessa alla fine del rapporto di collaborazione con l’azienda, perché questi cambi datore di lavoro o cessi l’attività lavorativa, ed è regolato dall’articolo 2120 del Codice Civile. Il Decreto Maroni del 2005 ha permesso ai lavoratori di scegliere dove indirizzare il proprio trattamento di fine rapporto: in buona sostanza al lavoratore sono date tre scelte, contro le due che aveva in precedenza. Dal 1º gennaio 2007, cioè da quando il decreto è diventato operativo, i lavoratori hanno la possibilità di lasciare il TFR in azienda, versarlo nei fondi di categoria oppure versarlo in strumenti di previdenza individuale.

Nella scelta da fare bisogna tener conto di alcune variabili: la prima è la tassazione, perché lasciare il TFR in azienda può rappresentare una sorta di harakiri per il lavoratore: presuppone una tassazione con aliquote che vanno dal 23 per cento in su. Con le altre due scelte invece la tassazione massima è del 15 percento, quindi banalmente guadagno da 800,00 € in su ogni 10.000,00 € di liquidazione a cui ho diritto, cioè sarò tassato di massimo 1.500,00 € contro 2.300,00 €.

La seconda variabile non meno importante è il fatto che il TFR versato in un fondo non risente di nessuna crisi aziendale. Molte aziende hanno dichiarato fallimento durante la pandemia: i lavoratori che hanno il loro TFR in un fondo dormono – come si suol dire – tra due guanciali, gli altri invece dovranno aspettare la conclusione del concordato per arrivare a vedere il loro denaro. Siamo tutti convinti che la nostra azienda non fallirà, lo era anche un mio cliente quando, nel 2002, gli proposi di spostare il TFR come aveva fatto il suo collega; quando nel 2008 l’azienda fallì, si accorse di aver sbagliato; il suo collega cambiò azienda e il suo TFR non risentì di nulla, cambiò solo chi effettuava il versamento; il mio cliente invece aspettò sino al 2014 per vedere il suo TFR.

La terza variabile non indifferente è la possibilità di scegliere la linea d’investimento nella quale accantonare il proprio TFR: un ragazzo giovane può scegliere una linea aggressiva, il tempo lavora per lui, salvo poi abbassare l’asticella una volta in prossimità del traguardo pensionistico.

A onor del vero dobbiamo considerare anche il fatto che, se metto il mio denaro in un fondo, potrò averlo solo quando andrò in pensione, salvo che per i casi previsti dalla legge. Questo, a detta di molti addetti ai lavori, è uno degli ostacoli maggiori per chi vuole investire in previdenza: una corretta pianificazione degli investimenti ci porterà a liberare risorse e ad avere risultato migliori per le nostre finanze.

Come sempre quando parliamo di investimenti, dobbiamo sempre tener conto di una variabile importante: le emozioni. Eccole che tornano, come le arabe fenici risorgono dalle loro ceneri. Le emozioni sono le peggiori nemiche degli investitori: non fare una scelta previdenziale sull’onda di un’emozione può fare la differenza tra avere e non avere un tenore di vita in linea con le proprie aspettative una volta che si arriva alla pensione.

L’emozione ricorrente che porta a non considerare gli investimenti previdenziali è il senso di abbandono: pensare di lasciare quarant’anni il TFR investito è come pensare di abbandonare un vecchio amico che non si potrà rivedere se non a distanza di anni; se il mio amico però andasse a star bene e quando lo rivedrò farà star bene anche me forse lo lascerei con minor timore.

A questi e ad altri dubbi risponderò nel Webinar del prossimo 25 febbraio prossimo: fai click sul pulsante qui sotto e iscriviti!

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