È l’Italia che verrà (Buon 2022!)

Eccoci arrivati anche alla fine di quest’anno. Stiamo abbandonando un 2021 colmo di gol, di sciabolate, di stoccate, di pagaiate, di diritti, di rovesci, di slalom, di pedalate: una serie infinita di ovazioni sportive, che probabilmente il Primo Gennaio di ormai quasi un anno fa neanche il più ottimista di noi avrebbe potuto immaginare, nemmeno nella più rosea delle sue previsioni. Oltre che dal mondo dello sport, abbiamo avuto soddisfazioni anche da quello della musica, del cinema e soprattutto della scienza, con il Premio Nobel per la Fisica attribuito all’accademico italiano Giorgio Parisi. Si dice: “Quando il gioco si fa duro, i duri cominciano a giocare”. E noi Italiani, ancora una volta nella Storia, siamo scesi in campo.

Anche nel settore economico e finanziario  non sono mancati motivi di giubilo: la Borsa di Milano si posiziona sul podio come rendimenti, il Fondo Monetario Internazionale ci segnala come nazione virtuosa per la crescita e per il modo in cui abbiamo fatto fronte alla Pandemia, The Economist ci definisce la “Nazione dell’Anno” e il nostro Premier, Mario Draghi, ha dichiarato che nel corso del 2021 abbiamo centrato ben cinquantuno dei target concordati con l’Unione Europea.

Se non fosse per la Pandemia e le sue ben note conseguenze a livello sanitario, sociale ed economico, si potrebbe dire che è quasi un dispiacere lasciarsi alle spalle un anno così. Il tempo però non si può fermare: e quindi avanti 2022! Dunque cosa si devono aspettare gli investitori e che cosa possono fare per essere protagonisti nel corso dell’anno che verrà?

Come Italiani non dobbiamo innanzitutto abbandonare la fiducia che abbiamo acquisito in noi stessi nel corso di quest’ultimo anno e anche quel sentimento di appartenenza a una comunità forte e resiliente, insieme ai valori che ci hanno portato a raggiungere i risultati che abbiamo conseguito. I valori – che, come ho scritto anche nel mio libro “La Finanza dei Pomodori”, fanno parte del dna della nostra Nazione – sono quelli che spingono gli imprenditori italiani ad alzarsi ogni mattina, a innovare e a trovare il modo di fare sempre meglio.

Gli investitori devono fare un salto, cercando di aprire la mente e investire nell’economia italiana. Se facciamo crescere la nostra economia, possiamo aiutare questa nazione un tempo balbettante ad abbassare il suo debito, un debito che purtroppo ha raggiunto causa Covid-19 il 160% del PIL: solo alzando quest’ultimo possiamo abbassare il rapporto. Il percorso, come sempre, presenterà degli ostacoli che potrebbero minare il cammino: l’inflazione tornata in auge, le varianti Covid che stanno preoccupando il mondo intero, insieme agli altri impedimenti che ancora potrebbero presentarsi.

In questo quadro io vedo più rosa che nero: penso al miglioramento dell’ambiente grazie all’attenzione alle emissioni, alla digitalizzazione che snellirà sempre di più la Pubblica Amministrazione (e che permetterà tra l’altro di ridurre l’abbattimento degli alberi, perché servirà meno carta), all’innovazione che comunque si sta portando avanti con decisione, alla ricerca continua di equità ed efficienza. Questo cambiamento porterà a opportunità di lavoro nuove: opportunità che probabilmente chi guarda nello specchietto retrovisore non riesce a vedere, ma che si stanno prospettando all’orizzonte.

L’Italia avrà un posto centrale nella crescita dell’Eurozona, ma questa posizione dipenderà molto da come centreremo i prossimi obiettivi: tutti dobbiamo fare la nostra parte come cittadini e come investitori e, nel mio caso, anche come professionista. La crescita, come scritto da più parti, passerà per la formazione e i nuovi lavori saranno appannaggio di chi avrà la dovuta formazione. Non dimentichiamo infatti che, tra gli obiettivi che ci chiede l’Unione Europea, c’è anche l’istruzione che, come ho scritto più volte su queste pagine, è sempre e comunque sinonimo di benessere.

Come sempre quando si lascia l’anno vecchio e si entra in quello nuovo si fanno bilanci, buoni propositi e spesso anche sogni. Io mi voglio impegnare a dare il mio contributo come cittadino dalla raccolta differenziata in su, come investitore facendo investimenti in aziende che fanno scelte per ambiente e benessere comune e come professionista aiutando quante più persone possibili a essere investitori consapevoli.

Come sogno/obiettivo ho quello di scrivere il mio secondo libro (dopo avere scritto il primo, sembra tutto più facile!) e tornare ad incontrare di persona clienti e non clienti per parlare di Finanza e tanto altro.

Se vuoi condividere con me i tuoi buoni propositi sentiti libera e libero di farlo, ci aiuteremo a vicenda a centrare i nostri obiettivi…

BUON 2022!

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Chi ha nostalgia delle carrozze?

Tra il 1900 e il 1910 il passaggio dal cavallo alle automobili ha subito un’accelerazione modificando per sempre il modo di effettuare spostamenti. Oggi siamo probabilmente di fronte a un altro cambiamento epocale che trasformerà il modo di muoversi: l’idrogeno. L’idrogeno resta centrale nel concetto di decarbonizzazione: costituisce l’alternativa ai combustibili fossili che hanno sino ad ora rappresentato la fonte energetica centrale.

L’idrogeno ha vari colori. Quello “marrone” o “grigio” possiede meno appeal, perché è estratto dal carbone e dal gas naturale, che hanno bassi costi di estrazione ma alto impatto inquinante; esiste poi l’idrogeno “blu”, che non si disperde nell’ambiente pur essendo estratto con un processo simile al primo: ha un impatto ambientale più basso e un costo lievemente più alto; da ultimo l’idrogeno “verde”, che ha un processo estrattivo diverso: infatti avviene per elettrolisi. Dobbiamo tener conto che l’elettrolisi ha un costo elevato, perché necessita di molta energia a causa del processo di scissione dell’acqua. La produzione di idrogeno attualmente avviene attraverso l’energia rinnovabile, usata per il settanta per cento nell’elettrolisi: questo abbatte di parecchio l’impatto sull’ambiente, perché quando arriveremo al 100% di energia rinnovabile, avremo un impatto carbon pari a zero; però significa anche costi molto elevati.  

Dunque è facile intuire che l’acquisizione dell’idrogeno è stata sino ad ora frenata da un lato dai prezzi onerosi di produzione e dall’altro dall’impatto ambientale non proprio conveniente; possiamo anche aggiungere che le attuali energie pulite, eolico e fotovoltaico in primis, non bastano a dare energia sufficiente per il suo processo produttivo. Tuttavia la diminuzione del costo delle energie rinnovabili oggi in atto rende ancora più appetibile puntare sull’idrogeno: si parla di energia rinnovabile a basso costo per favorire la transazione all’idrogeno verde e anche di una maggiore quantità della stessa.

Si stima che nel 2030 gli investimenti in idrogeno verde saranno di 300 miliardi di dollari, cifra che è destinata a diventare 15 mila miliardi di dollari entro il 2050 secondo la Energy Transitions Commission. Del resto basta pensare che dal dicembre 2020 al giugno 2021 gli investimenti sull’idrogeno sono triplicati: le iniziative in tal senso sono ben 359.

L’Europa sta facendo da apripista, ma anche il Colosso Cinese e gli Stati Uniti si stanno muovendo in questa direzione. L’idrogeno verde sta prendendo sempre più piede e se ne parla sempre di più: ha ormai raggiunto il livello mediatico del 5G e della Blockchain.  Siamo comunque ancora lontani da avere l’idrogeno come fonte di energia: si dovranno superare i problemi energetici per attivare l’elettrolisi, processo che – lo ricordiamo – ha dalla sua la possibilità di essere attivo 24 ore su 24, diminuire i costi e avere una legislazione in linea. 

Come tutte le nicchie, in questo campo gli investitori trovano allo stesso modo opportunità e rischi: solo pianificando in modo chiaro gli investimenti, una parte di essi possono essere destinati all’idrogeno. Resta sempre, per chi non vuole mettere tutto il capitale subito, il vecchio e caro piano d’accumulo, che abbassa la volatilità emotiva degli investitori. Del resto, solo una sana e consapevole pianificazione libera l’investitore dalle ansie del mercato.

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Le piante si coltivano bene fin da piccole

Sabato scorso ho trascorso una mattinata parlando di Finanza con dei ragazzi tra i sette e i tredici anni. I bambini sono davvero delle spugne che assorbono concetti e nozioni alla velocità della luce e spetta a noi mettere a loro disposizione il liquido giusto: da parte loro ho trovato sempre e solo interesse e grande voglia di sapere. Durante la lezione siamo partiti dal baratto e siamo arrivati a parlare di interesse composto e di previdenza: per chi asserisce che ai ragazzi interessano solo i videogiochi vorrei rispondere: “Certo, se gli presentiamo solo quelli!”. Quindi chapeau ai genitori che hanno mandato i loro figli al mio piccolo seminario.

Come se non bastasse, durante la settimana alcuni articoli mi hanno fatto riflettere ancora di più su questa esperienza con i più giovani. Il primo parlava dell’invecchiamento della popolazione che continua a crescere: la pandemia ha rallentato un trend che sicuramente ricrescerà e l’invecchiamento della popolazione avrà ripercussioni economiche sulla sanità e sulla previdenza.

Il secondo invece parlava dell’indagine OCSE “Pensions at a Grange 2021” dove emergono dei dati che devono darci da pensare. Chi entra oggi nel mondo del lavoro andrà in pensione a settantun’anni e, complice il contributivo ovvero il sistema adottato per il calcolo previdenziale in Italia, avrà una decurtazione del suo reddito importante. Questo studio evidenzia che oggi l’Italia ha un’età pensionabile di 1,3 anni più bassa della media OCSE, grazie a quota 100 opzione donna e alchimie del genere, ma che dovrà suo malgrado alzare questa età per una serie di motivi, non ultimo il costo sul PIL della quota previdenziale (che è la seconda dei Paesi OCSE). Per i lavoratori autonomi si calcolano mediamente decurtazioni che partono dal 30 per cento e per le donne con lavori discontinui la decurtazione sarà del 27 per cento: entrambe le aliquote di ben 5 punti più alte di quelle OCSE.

Il terzo articolo infine potrebbe essere considerato la sublimazione dei due precedenti: si parlava del fatto che oggi la pandemia ha evidenziato un fenomeno già consolidato, che era quello che i pensionati aiutano i figli grazie alla certezza del loro reddito. Si stimava che gli studi dei nipoti spesso ricadono sui nonni pensionati piuttosto che sui genitori. Come sempre parliamo di medie e statistiche, ma questa fotografia non è delle più rassicuranti.

Ed ecco qui la mia riflessione. Lavoreremo più anni, avremo meno risorse e quindi è chiaro che urge pensare al proprio futuro: arrabbiarsi con lo Stato perché non garantisce la pensione o sbraitare contro il governo non risolvono il problema. È ora di agire.

Ai ragazzi che ho incontrato sabato scorso ho spiegato che ci sono due variabili che lavorano per loro e che, se usate nel modo giusto, faranno la differenza: il tempo, guarda caso, e l’interesse composto, che come diceva Einstein è considerata “l’ottava meraviglia”. Tre anni fa scrivevo: “Non facciamo gli struzzi!”. Oggi lo voglio ribadire: far finta che il problema non esista e che qualcuno ci penserà è la stessa cosa che camminare su un filo sospesi in aria senza protezione e sapendo che se si cade non ci si può salvare.

A questo proposito hai già scaricato la mia Guida alla Previdenza? Se vuoi approfondire questi e altri temi iscriviti al mio gruppo Facebook e se già sei iscritto invita un tuo amico a farlo e a scaricare la Guida. E se vuoi iniziare a pensare al tuo futuro e a come fare per proteggerti…

L’Inflazione è buona o cattiva?

Sta tornando prepotentemente in voga il concetto di inflazione, una delle variabili macroeconomiche più chiacchierate. L’inflazione è buona cosa oppure è una cosa negativa? Cerchiamo di fare chiarezza. 

Le Banche Centrali da qualche anno stanno cercando di portare l’inflazione intorno al 2 per cento: un valore che facilita un aumento dei prezzi, è vero, ma che come conseguenza porta anche l’aggiornamento dei salari e una crescita del sistema sostenibile. Quindi per il sistema produttivo un’inflazione strutturale al 2 per cento è da considerarsi una cosa positiva. Lo stesso non si può dire per gli investitori: se anche un investitore percepisse un aumento di stipendio grazie all’inflazione, ma poi lasciasse il denaro a giacere su un conto corrente, annullerebbe sostanzialmente il guadagno dello stipendio, perché il potere d’acquisto del denaro si limerebbe dell’inflazione. Qualche tempo fa leggevo su Focus Risparmio un articolo di Annamaria Lusardi: con la pandemia il denaro sui conti correnti degli Italiani è cresciuto da 1.584 miliardi del febbraio 2020 a 1.800 miliardi a fine settembre 2021. Quindi gli Italiani sono sicuramente promossi in risparmio e bocciati in investimento.

Da alcuni mesi, come dicevo, l’inflazione è tornata a far parlare di sé: il dato tedesco la colloca al massimo da ventotto anni a questa parte. All’inflazione in crescita dobbiamo aggiungere un altro dato preoccupante per i risparmiatori: i tassi delle obbligazioni. Il caso più evidente? Il BTP a dieci anni, che rende annualmente intorno all’1 per cento: questo senza tener conto dell’interesse composto. Se detengo un BTP a dieci anni con un’inflazione buona al 2 per cento, perdo mediamente il 10 per cento del valore del mio denaro. 10.000,00 € oggi sarebbero 9.000,00 € tra 10 anni: 1.000,00 € di cedola da aggiungere e 2.000,00 € di erosione dell’inflazione da togliere. Da qui la bocciatura in investimento per gli Italiani: l’Educazione Finanziaria, su cui io spingo particolarmente, non è un mio vezzo, è una necessità per tutti noi.

“Ma io ho paura di investire in azioni”, potreste obiettare voi. Giusto. Ecco allora che ci viene incontro Andrea Rocco, che sul suo blog specialistico Kaidan spiega, in un articolo del giugno 2021, come negli ultimi dieci anni un portafoglio bilanciato e diversificato avrebbe abbattuto la volatilità e di conseguenza i mal di pancia degli investitori; loro vedono il valore degli investimenti variare ridotto del 40 per cento: una bella cura contro il mal di stomaco causato da tutte le crisi vere e presunte che il Mercato ci ha lasciato in questi anni.

Questa mattina, 4 dicembre, sarò insieme a un gruppo di ragazzi tra gli 8 e i 13 anni: parleremo di soldi, di come si forma il denaro e di come si può amministrare. Un conto è parlare della necessità di fare educazione finanziaria, un conto è partire davvero dalle generazioni più giovani per far comprendere quanto sia importante formare il prima possibile il nostro atteggiamento nei confronti del denaro. La Finanza ci sembra sempre una cosa astrusa e lontana dalla nostra vita di tutti i giorni, eppure è racchiusa in qualsiasi azione compiamo. Di questo potrete leggere presto nel mio libro, di prossima pubblicazione con la casa editrice EC Edizioni di Biella, “La Finanza dei Pomodori”. Cosa c’entra il mondo contadino con la Finanza? Apparentemente nulla: eppure nel mondo contadino è possibile ritrovare molti spunti utili a comprendere alcuni dei principi fondamentali che governano i mercati. Perché si può parlare di Finanza senza per forza esprimersi in “economichese”.

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