Non facciamo gli struzzi

Una delle certezze che ha caratterizzato la storia italiana è sicuramente la pensione. Il welfare italiano ha sempre avuto nella nostra realtà una posizione importante.

Questa situazione, la poca cultura finanziaria e la scarsa certezza nel futuro, associate ad un’elevata incertezza politica, hanno supportato il fatto una poca preoccupazione dei lavoratori italiani verso l’integrazione della propria pensione durante la vita lavorativa.

Tuttavia, negli ultimi anni purtroppo la rotta è cambiata, mettendoci di fronte ad una nuova realtà in cui la pensione non è più una certezza, specialmente nel suo ammontare oltre che nel suo essere un valore garantito a fine carriera.

Nello specifico lo stato, rendendosi conto della difficoltà nel garantire una vecchiaia dignitosa alle persone, ha deciso, con la riforma Maroni del 2005, di dare una forte incentivazione alla previdenza privata come mezzo per contrastare la povertà. In particolare, con l’entrata in vigore a livello operativo del 1° gennaio 2007, la riforma apporta novità nella tassazione, nel TFR e nei fondi.

Volendo aiutare i lettori a fare chiarezza e mettere ordine è bene sottolineare che, prima de decreto i lavoratori dipendenti potevano destinare il loro TFR nei fondi di categoria o lasciarlo in azienda, con i nuovi regolamenti invece essi possono destinare il loro trattamento di fine rapporto anche nei fondi privati, che fino ad allora non potevano essere utilizzati, ad eccezione e unicamente per i versamenti volontari, differenti dal TFR.

La domanda da porsi alla luce di questi cambiamenti è quini perché un lavoratore dovrebbe indirizzare il proprio TFR in un fondo privato o di categoria piuttosto che lasciarlo in azienda o al fondo tesoreria dell’INPS? Cosa cambia nelle due formule possibili?

La risposta è semplice e risiede in un ragionamento di carattere fiscale, nonché nella possibilità di avere un maggior controllo del proprio investimento.

In particolare, dal punto di vista fiscale, lasciare il TFR in azienda comporta, una volta entrato in pensione, il pagamento di una tassa che è legata al reddito percepito: pertanto con reddito lordo non elevato si avrà un’aliquota bassa, diciamo tra il 20 e il 25%, ma in caso di reddito alto essa può arrivare anche al 40%. Per i fondi pensione, invece, esiste un’aliquota massima del 15%, quindi già più bassa in partenza, e che può ulteriormente ridursi se si ha effettuato versamenti in un fondo per molti anni, vale la regola del più anni mantengo l’investimento e meno pago.

Rispetto alla seconda ragione invece è bene notare che accumulando il TFR in un fondo privato si può avere un maggior controllo, una trasparenza maggiore sui fondi, ed una maggior possibilità di incontrare risposte alle esigenze personali, sia in termini di controllo che rischio, specialmente grazie alla consulenza diretta di esperti del settore.

Poiché in questa questione delicata giocano un ruolo fondamentale anche le aziende, è bene osservare le cose anche dal loro punto di vista. In primo luogo, è da notare che, poiché queste entità stanno già affrontando un periodo economico non facile, può risultare ulteriormente difficile ridurre la propria liquidità di cassa per accantonare il TFR dei dipendenti. Alla luce di questo quindi è bene cercare di comprendere se e come le aziende possano avere un vantaggio nel versare il TFR. Sicuramente sì perché effettuare questa operazione diminuirebbe, o quanto meno non aumenterebbe il bilancio, non genererebbe una situazione di debito verso i dipendenti, cosa che invece il TFR rappresenta per le aziende e inoltre rappresenterebbe un costo e quindi a livello di bilancio un beneficio.

Bene, analizzato il TFR nelle sue sfaccettature, un’analisi meritano i contributi personali versati, al fine di chiarire il quadro.

Il decreto Maroni, oltre ai cambiamenti in materia di trattamento di fine rapporto, ha portato a 5164,27 euro, la cifra che può essere dedotta dall’unico o dal 730, a seconda della dichiarazione che si presenta.

Facciamo un paio di esempi. Un lavoratore dipendente oltre al TFR può inserire nel suo fondo pensione anche un contributo personale, il quale creerà un risparmio fiscale. Ad esempio, un lavoratore che ha un’aliquota Irpef (base di calcolo per le imposte) intorno al 30% (circa 30.000,00 euro lordi) versando 2000,00 € nel fondo pensione avrà un risparmio fiscale di € 600,00 (2000,00 x 30%).

Di contro un lavoratore autonomo non avrà TFR, ma si presuma possa avere un reddito più alto potendo quindi accantonare una cifra più alta, con un beneficio in dichiarazione più importante. Il versamento del contributo personale può, infatti, essere considerato come una “fattura” che abbatte l’imponibile.

Da sottolineare che anche al contributo personale si applica, a scadenza, una tassazione sui versamenti dedotti con un’aliquota massima del 15% con un minimo del 9%.

Un lavoratore autonomo con un‘ aliquota del 40% (percentuale di tassazione) che versa nel fondo per 35 anni avrà un vantaggio del 31% (40-9%) cioè ogni 1000,00 € versati generano 310,00 € di guadagno fiscale, tenendo inoltre in considerazione che il 40% lo si recupera ogni anno e il 9 % lo si paga solo a scadenza.

A questo punto sembra impossibile che siano così pochi i sottoscrittori di fondi pensione. Tuttavia, purtroppo i risparmiatori conoscono poco i fondi pensione e hanno la convinzione di perdere il possesso del loro denaro per troppo tempo, cosa non del tutto vera poiché, durante la vita del fondo, per particolari esigenze, è possibile avere degli anticipi.

In finanza come nella vita conoscere rende liberi, nel caso dei fondi pensione la libertà sta nel poter scegliere se arrivare senza copertura alla pensione o prendere provvedimenti per tempo permettendosi una maggiore tranquillità finanziaria in età avanzata.

Il mese di ottobre per il secondo anno consecutivo è stato dichiarato “Mese Del Risparmio”. Lo Stato è cosciente che per evitare un “Terremoto Sociale” deve educare i risparmiatori su come creare il loro “Secondo Pilastro”